Politica

Travaglio teme l'ascesa di FdI e inizia ad insultare la Meloni

Un caustico ritratto di Mannelli ritrae la leader di FdI deforme, coatta e priva di contenuti politici. Il tutto mentre continua ad adulare l'antipolitico Giuseppe Conte

Travaglio teme l'ascesa di FdI e inizia ad insultare la Meloni

Un body shaming leggermente più raffinato e la solita accusa di scarsi contenuti. Tutte cose contro cui Giorgia Meloni può schierare ormai stormi di anticorpi. A Marco Travaglio, invece, l'invidia continua a provocare l'ulcera.

Il direttore del Fatto Quotidiano, allarmato dall'ascesa di Fratelli d'Italia e della sua leader, si concede un giorno di riposo dalla sua battaglia personale contro Matteo Salvini, ereditiero del posto che fu occupato per anni da Silvio Berlusconi, per scagliarsi contro l'ex Ministro della Gioventù. E lo fa armando il braccio di Mannelli, il vignettista del Fatto, che sulla prima pagina del giornale dipinge una Meloni sformata, strabica, picassiana, a cui attribuisce il virgolettato: "Aò so' Giorgia!". In calce la dicitura: "Il profondo e articolato progetto politico a cui nessuno s'azzarda a rispondere: 'e 'sti ca***?".
I cliché ci sono tutti. L'aspetto fisico non certo da copertina di Playboy, il dialetto romanesco che palesa l'estrazione popolare, il riferimento alla poca "sostanza" della struttura e della visione di FdI.

Dell'ironia sui suoi lineamenti la Meloni ne ha fatto un'arma, anziché lagnarsi di quello che a tutti gli effetti è e continua ad essere body shaming secondo i canoni che i Travaglio di turno dicono di combattere. Così come del suo accento da tribuna del popolo, quel popolo che la sinistra ha totalmente abbandonato. Ma il teorema di Travaglio sul vuoto che circonda il progetto politico di FdI e sui consensi fondati solo sul carisma e sulla popolarità della leader, oltre ad insultare diversi milioni di elettori è tanto ingeneroso quanto paradossale.

Quale che sia l'orientamento politico dei singoli, quale che sia la stima e la fiducia che i cittadini possano o non possano accordare a Fratelli d'Italia, vale la pena di ricordare che Travaglio è lo stesso Travaglio diventato ormai il primo discepolo di San Giuseppe Conte. Quel Conte a cui attribuisce ogni miracolo terreno, a cui riconnette ogni merito del governo Draghi, e a cui dedica il fondo della medesima prima pagina con cui attacca la Meloni, dicendo che è a Giuseppi che si deve l'ottenimento dei soldi del Recovery Fund (Conte è stato silurato perché non era in grado di indicare all'Europa come spenderli) e che l'avvocato del popolo altro non era che un Che Guevara in abito e pochette cacciato poiché non obbediva a "Confindustria e gli altri padroni del vapore".

Che ironia, Travaglio accusa di leggerezza e superficialità la Meloni ma fa il bimbo di Conte, una figura senza background politico arrivato a Palazzo Chigi per fare da supervisore ai litiganti Di Maio e Salvini, passato da un'alleanza a un'altra proprio per via della sua liquidità ideologica, finito a fare il leader dell'unico schieramento che non si è mai definito "politico", il Movimento 5 Stelle, e che si sta sciogliendo come neve al sole dopo aver detto tutto e il contrario di tutto. Mentre la Meloni veleggia verso il 20% dei consensi.


Per rispondere a tono alla battuta di Travaglio, a Roma gli risponderebbero: "Stai a rosicà".

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