Coronavirus

Il Viminale: in carcere chi viola le direttive Governatori del Nord divisi contro il virus

Stretta del ministro sulle zone colpite: controlli su porti, aeroporti e strade

Il Viminale: in carcere chi viola le direttive Governatori del Nord divisi contro il virus

Una videochiamata per Conte. La richiesta congiunta dei presidenti di nove Regioni di un faccia a faccia telematico con il premier dà l'idea del braccio di ferro che si va consumando da sabato tra Palazzo Chigi e i governatori di Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna, ciascuno con istanze diverse e a volte opposte. La richiesta di videoconferenza è stata però sottoscritta anche da Friuli Venezia Giulia, Liguria, Sardegna, Sicilia, Abruzzo, Umbria e dalle Province autonome di Trento e Bolzano. E il confronto riguarda anche il Viminale su cui ricade il peso dell'attuazione delle misure. Ieri il ministro Lamorgese ha emanato direttive ai Prefetti che sono incaricati di vigilare sui limiti alla mobilità. Le restrizioni sono abbastanza lasche, ma il Dpcm prevede sanzioni, incluso l'arresto fino a tre mesi, che in base all'articolo 650 del codice penale può trasformarsi in ammenda da 206 euro. Circostanza che ha comunque spinto il Viminale a istruire la polizia sui controlli su strade e aeroporti. A Venezia previste verifiche sugli sbarchi da navi da crociera. Resta il fatto che per certificare la necessità dello spostamento o del viaggio basterà un'autodichiarazione resa al momento o su moduli forniti dalla polizia.

Modalità che potrebbero non piacere a tutti. Dietro la facciata degli appelli all'unità d'intenti contro il coronavirus c'è la realtà di un duro confronto che ha messo in crisi il premier. Se perfino il presidente amico, Stefano Bonaccini, parla di «alcune ambiguità» nel Dpcm che «hanno creato incertezze fra cittadini, imprese e lavoratori», è il segno che il fuoco della rivolta non si è spento. Ieri il governo ha dovuto mediare a lungo per arrivare a un'ordinanza di Protezione civile che chiarisse i dubbi interpretativi.

Alla fine si è arrivati a dirimere alcuni punti: niente stop agli uffici pubblici e niente limitazioni alla mobilità per le merci, visto che le restrizioni, è stato chiarito, si applicano solo alle persone fisiche.

Ma a mettere in crisi il governo sono state le pressioni in senso opposto arrivate dalle Regioni. Bonaccini preoccupato soprattutto per le attività produttive: «Non c'è nel decreto, a nostro avviso, - ha spiegato - né una previsione del fermo produttivo, né un blocco dell'attività commerciale». Il presidente della Regione Lombardia, nettamente la più colpita dal virus, si è schierato esattamente all'opposto: «Sarei rimasto più rigido nelle misure che attengono al cosiddetto distanziamento sociale», ha detto Attilio Fontana, che avrebbe voluto un segnale «psicologico» più forte ai cittadini.

E se il Piemonte, che nelle ultime ore ha visto crescere il numero di contagi (coinvolgendo lo stesso presidente della Regione Alberto Cirio), ha salutato con favore l'estensione del Dpcm ad alcune delle proprie province (non previste nella prima bozza), al contrario il Veneto protesta e chiede lo stralcio dal provvedimento di Padova, Treviso e Venezia. «Il Veneto - ha insistito Luca Zaia - si oppone alla creazione delle tre zone di isolamento previste dal Dpcm». Secondo il governatore del Veneto, ci sono focolai circoscritti e la sanità è sotto controllo.

E i guai per Conte arrivano anche da Sud. Perché dopo l'uscita sopra le righe di Michele Emiliano che ha invitato chi tornava da Nord a non contagiare la Puglia «con l'epidemia lombarda», altre Regioni del Sud si sono mosse in ordine sparso. Provocando un intervento del Viminale: «Non risultano coerenti con il quadro normativo le ordinanze delle Regioni contenenti direttive ai Prefetti che rispondono solo all'Autorità nazionale». Le Regioni insomma, non possono prevedere l'arresto di chi esce dalla quarantena.

L'unità antivirus è una chimera.

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