"La violenza delle toghe vissuta sulla mia carne. Che tristezza la sinistra"

"Non ho aderito ai comitati, basta il mio cognome. Ma farò la mia parte"

"La violenza delle toghe vissuta sulla mia carne. Che tristezza la sinistra"
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"Non ho aderito ai comitati per il Sì per un motivo semplice: il mio comitato sono me medesima, per il cognome che porto". C'è una donna per la quale la riforma della giustizia varata giovedì dal Parlamento è un pezzo di vita. Un passaggio atteso da quarantadue anni, dalla mattina di giugno in cui Enzo Tortora, il presentatore più amato dagli italiani, venne arrestato dai carabinieri su ordine della magistratura napoletana, accusato di crimini terribili che non aveva commesso, e sepolto in carcere. Sua figlia Gaia aveva quattordici anni. La lotta per una giustizia migliore è stata la sua battaglia per tutti questi anni, e molti hanno pensato a lei per dare un volto ai comitati che si batteranno per la conferma della riforma quando la primavera prossima gli italiani saranno chiamati al referendum. "Ho ringraziato e ho declinato. Non vuol dire che mi farò i fatti miei, perché i fatti miei non me li sono mai fatti. Voglio soltanto poter dire in questi mesi quello che penso, quando e come mi pare, senza chiedere il permesso".

La sua voce a favore della riforma, insomma, la sentiremo spesso. Gaia è convinta che un margine di rischio il referendum lo presenti solo se si cerca ("e in queste ore vedo già i segnali") di trasformare il voto in un voto tutto politico, un referendum pro o contro il governo. Quando invece quella varata giovedì è per lei solo un passaggio di un percorso iniziato già nel 1988, con il nuovo codice varato da Giuliano Vassalli e Giandomenico Pisapia, "che non erano certo pericolosi esponenti della destra", proseguito per step successivi e con altri ancora da realizzare: come portare condizioni di vita umane, dignitose, in quelle carceri di cui suo padre Enzo poté sperimentare tutta la brutalità, e che nonostante molte promesse non sono cambiate.

Avanti con le carriere separate, dice Gaia, e avanti con l'Alta corte di giustizia, che sostituirà la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, "dove si giudicano tra di loro e va a finire come finisce". Racconta di come in questi anni abbia avuto modo di incontrare diversi magistrati, di essersi confrontata con i capi della loro associazione, di essere pronta a farlo ancora, anche se poi ogni volta che si è cercato di mettere mano ai meccanismi inceppati della giustizia ha visto partire levate di scudi come quella che si vede in questi giorni, tradotta in Parlamento dalle opposizioni che sollevano i cartelli, "una scena che mi ha provocato una immensa tristezza", "perché io ho vissuto sulla mia carne l'esperienza di certa magistratura, ho toccato con la pelle qual è il livello di violenza che può raggiungere l'accanimento giudiziario, fare in conti con un potere assoluto che non risponde mai a nessuno".

Non è una fase della vita e della battaglia di Gaia che si chiude, è un passaggio che ne apre altri. "So che tutto nasce dalla vicenda di papà", dice Gaia, "e sarebbe stato facile intestarmi o intestargli il comitato. No grazie, ne sto fuori e faccio la mia parte da fuori. In questa storia voglio tenermi le mani libere fino alla fine.

Facendo il possibile perché non si tramuti questo confronto in uno scontro politico dove se sei per il Sì allora stai con Berlusconi e con quelli sporchi, cattivi e corrotti e se dici di No allora vuoi un paese libero e democratico dove la giustizia va bene così com'è".

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