Politica

Il virus che muta il clima anti casta

È come ritornare dalle vacanze e scoprire che qualche cosa è cambiato: il ristorante sotto casa che non riapre più, il parcheggio che diventa impossibile, quel muro lordato da slogan e parolacce

Il virus che muta il clima anti casta

È come ritornare dalle vacanze e scoprire che qualche cosa è cambiato: il ristorante sotto casa che non riapre più, il parcheggio che diventa impossibile, quel muro lordato da slogan e parolacce.

Anche in politica basta distrarsi un attimo per ritrovare un mood di segno opposto. Può essere un tweet cretino che all'improvviso fa precipitare il gradimento di un parlamentare maldestro, può essere l'effetto nausea verso ministri presenzialisti che per settimane occupano tg e talk show passando da simpatici a insopportabili. In realtà sono i grandi flussi dell'opinione pubblica a invertire il corso di tendenze di vita pubblica che sembravano correre dentro binari blindati. E quando arriva questo baco, una sorta di virus oscuro dalla difficile provenienza, ecco che tutto si rimescola.

Non sfugge al destino della mutabilità neppure il referendum sul taglio dei parlamentari, la grande mobilitazione che riporterà gli elettori italiani alle urne tra neppure un mese. Era nato per confermare una inarrestabile riforma parlamentare trasversale che realizzava i sogni dell'Italia anti casta: quello di schiodare per sempre i seggi di 230 deputati (da 630 a 400) e di 115 senatori (da 315 a 200). Nell'ottobre del 2019, neppure un anno fa, l'idea prevalente era quella di sfoltire un Parlamento elefantiaco con il retropensiero di assecondare le pulsioni anti casta di un elettorato sempre più distante dai suoi rappresentanti.

Così per confermare la riforma costituzionale è stato indetto il referendum meno incerto del mondo: basta la vittoria del Sì senza quorum o soglie. Un sogno per i veri promotori del quesito, i Cinque stelle. Proprio loro che in due anni si sono sbarazzati di sandali francescani e barbe da guerriglieri per collegarsi in tv in uffici presidenziali imbandierati o scorrazzare scortati su auto blu. Cosa c'è di più irresistibile di trasformare gli elettori nel plotone di esecuzione di onorevoli e senatori? Un quesito retorico non potrà mai essere sovvertito, come chiedere ai cittadini stremati da una guerra se vogliono burro o cannoni. E all'inizio la suggestione nel Palazzo è passata, se non per convinzione almeno per non farsi travolgere dall'opinione pubblica. La stessa, però, che deve trovare adeguata mediazione in Parlamento. Affidare al popolo drastiche scelte con un sì o un no non sarebbe alla fine un puro esercizio di democrazia ma una fuga dalle responsabilità della politica. A colpi di referendum milioni di italiani sarebbero pronti a votare per chiudere il Quirinale, smantellare la Banca d'Italia, espropriare i funzionari pubblici che guadagnano quattromila euro al mese. Quesiti di facile presa che spalancherebbero le porte dell'inferno.

Smaltita la sbornia iniziale anti Parlamento, anche il referendum ha cambiato i connotati iniziali. Il passo è stato breve: dopo il sì plebiscitario sono sorti i primi dubbi su una riforma violenta che elimina rappresentati del popolo come la decimazione punitiva dei battaglioni meno gloriosi della Prima guerra mondiale. Prima si fanno fuori gli eletti, poi si vedrà come sistemare la macchina legislativa. Già nel 2016 gli italiani, pur ebbri di rancore verso il potere, scelsero a sorpresa di salvare il Senato della Repubblica.

E quando cambia l'aria in questo Paese l'ondata diventa sempre inarrestabile.

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