Cronache

Vivere a 40°

In Italia la siccità diventa "emergenza nazionale". Spunta l'ipotesi di depurare l'acqua delle fogne per uso agricolo e industriale. Caldo record in Francia e Spagna in fiamme

Vivere a 40°

Questa volta i tg specializzati nei soliti «servizi estivi», rinfrescati da arguti consigli (i tre da podio sono: «Bevete acqua»; «Non uscite nelle ore calde»; «Indossate abiti leggeri»), sono costretti ad affrontare il tema in maniera - diciamo così - un po' più seria e complessa. Certo, se accendete la tv all'ora di pranzo o cena, troverete comunque l'«inviata» di turno che, dalla località vacanziera di mare o montagna, pone ai villeggianti domande decisive del tipo: «Come fa a sopportare questo caldo asfissiante?» (la risposta, tendenzialmente, è: «Mangio un gelato o bevo una bibita fresca»). Tuttavia la «storica crisi idrica» - conseguenza della «siccità-record» che da settimane sta colpendo il nostro Paese - costringe i media a volare un po' più alto, chiedendosi cosa faremo e cosa accadrà se continuerà a non piovere e le temperature seguiteranno ad essere torride come ora. Gli esperti hanno fissato in «15 giorni» il timing che ci separa dall'«effetto-desertificazione», e quindi dal disastro totale. Finora, soprattutto nel Nord Italia, l'emergenza è stata affrontata a colpi di «razionamenti», «invio di autobotti», «norme-antisprechi» e altri palliativi che però non basteranno più in caso di una mancata inversione meteo. Ma purtroppo i segnali sono di segno opposto, almeno in tutta l'area dell'Ovest europeo dove a boccheggiare non è solo l'Italia, ma anche la Francia (mai così rovente negli ultimi 70 anni) e la Spagna (devastata dagli incendi).

Se questo è lo scenario già tracciato dagli «addetti ai lavori», resta la domanda-chiave: come si sta preparando il nostro Paese ad affrontare una crisi che, già drammatica, potrebbe divenire addirittura catastrofica? Finora si è seguito l'ordinario protocollo, comune in tutti i casi di «calamità naturale» (inondazioni, terremoti, frane). Come funziona? Le Regioni «coinvolte» chiedono al governo il riconoscimento dello «stato di calamità nazionale» e, il governo, allenta - più o meno, dipende casi e dal «potere contrattuale» e dal peso politico dei rispettivi presidenti di Regione - i cordoni della borsa.

Un meccanismo di cui spesso si è abusato per rimediare qualche finanziamento extra. Con la conseguenza, tutta italiana, di creare a volte ingiuste sperequazioni: ingenti rimborsi per (presunte) calamità; inadeguati stanziamenti per (effettivi) cataclismi. Per la gioia dei furbetti delle finte disgrazie, e per lo scorno dei poveretti dei veri flagelli.

Se lo strumento dei finanziamenti-facili presta il fianco a operazioni poco chiari, qual è l'alternativa? Affrontare le emergenze in maniera strutturale. Un approccio che in Italia non ha mai trovato applicazione. Ma il dramma-siccità che stiamo vivendo in questo periodo potrebbe, almeno sul fronte della crisi-idrica, fornirci una valida opportunità.

A prefigurala organicamente è stato ieri in una intervista al Repubblica Erasmo D'Angelis, dal 2018 segretario generale dell'Autorità di bacino del Tevere e dell'Italia centrale. Il piano per far fronte all'attuale (e alle future) «emergenze siccità» è, teoricamente, semplice: depurare le «acque reflue» (quelle che finiscono nelle fognature e, da lì, in mare) per poi destinarle ad uso irriguo e industriale. Campi agricoli e fabbriche sono infatti i «siti» che maggiormente risentono della crisi idrica. Ma D'Angelis va oltre. E alla domanda «La proposta vale anche per locali, bar e ristoranti?», risponde: «Iniziamo dalle grandi aziende, poi studiamo le misure di risparmio per bar e ristoranti».

Al momento, sul totale dei prelievi di acqua, oltre il 50% è destinata all'agricoltura, il 25% alle nostre case e il 25% a uso industriale.

A salvarci dalla «grande sete» sarà l'acqua delle «fogne»?

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