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"Voluta come data di riconciliazione poi è stata sequestrata dalla sinistra"

Lo storico: "L'intuizione di De Gasperi, unire e voltare pagina. Ora che la destra è al governo usano la festa per delegittimare"

"Voluta come data di riconciliazione poi è stata sequestrata dalla sinistra"

Siamo tornati indietro. «È come se fossimo di nuovo ai tempi in cui il Fascismo era studiato solo dal punto di vista ideologico - spiega Francesco Perfetti, storico, a lungo professore alla Luiss - prima di De Felice, quando non si andava oltre quei giudizi di condanna e non si cercava di comprendere le origini del fenomeno, i perché del suo sviluppo, la sua evoluzione. Il 25 aprile dovrebbe essere l'occasione giusta per voltare pagina ma il clima nel Paese è quello che è».

Il 25 aprile come festa fu voluto da De Gasperi.

«Certo, fu inventato da De Gasperi per voltare pagina e per avviare una riconciliazione del Paese in cui trovassero posto tutti, vincitori e sconfitti».

Oggi?

«Oggi l'avvento del governo Meloni ha provocato un sussulto di antifascismo militante e sembra di essere di nuovo in un passato ormai lontano e che speravamo sepolto. È in atto una strumentalizzazione politica per delegittimare l'avversario o almeno per metterlo in difficoltà, rinfacciandogli i comportamenti dei padri e dei nonni: il Fascismo e Salò, l'alleanza con la Germania nazista e tutto il resto».

Scusi, non è giusto chiedere una professione di democrazia a chi proviene da quel mondo?

«Sì, ma qua gli esami non finiscono mai. I leader della destra hanno condannato tutto quello che c'era da condannare e invece ogni volta si ricomincia dall'inizio. Con giochi lessicali che non interessano agli italiani. Si fanno gli esami del sangue su simboli, dichiarazioni, mezze parole. Francamente così non si va da nessuna parte. Figurarsi poi alla vigilia della festa della Liberazione».

Il 25 aprile è sempre stato una festa divisiva?

«Era nato da un'intuizione di De Gasperi che voleva mettere insieme tutte le componenti che si opposero alla dittatura: la sinistra marxista, gli azionisti, i cattolici, i monarchici, i sempre dimenticati militari internati in Germania che nella stragrande maggioranza, direi al 90%, scelsero di non collaborare con i nazisti. Poi però è vero che la sinistra comunista sequestrò questa festa trasformandola in una sorta di autocelebrazione, tendendo ad escludere o a mettere ai margini gli apporti delle altre culture».

Nel 1950 De Gasperi tiene un discorso importante in Campidoglio e dice: «Aiutateci a superare lo spirito funesto delle discordie. Si devono lasciar cadere i risentimenti e l'odio. Si deve perdonare».

«Per decenni i toni sono stati altri, la sinistra si è impossessata della ricorrenza, stilando la lista dei presentabili e degli impresentabili, forse per un riflesso dell'egemonia culturale esercitata nel Paese. Poi Luciano Violante ha fatto un passo in avanti decisivo, con quel celebre discorso in cui spiegava di voler capire le ragioni dei ragazzi di Salò. Credo si debba tenere la barra dritta in quella direzione. Ma ci sono due paletti da fissare, specialmente in questa fase di rissa continua».

Quali?

«Anzitutto ci vuole una certa sobrietà da parte delle istituzioni. Niente sgrammaticature, niente eccessi verbali, niente provocazioni. Non sono utili, anzi creano cortocircuiti, riaprono ferite. Poi, anche se sembra banale, ci vuole il coraggio di riconoscere che quelli sono i fatti. Ciascuno darà la sua interpretazione, li leggerà con la propria sensibilità, valorizzerà un aspetto, ma è necessaria una memoria condivisa che non vuol dire essere d'accordo su tutto, ma ammettere anzitutto che è andata così. Come è successo per la Rivoluzione francese che pure è stata l'evento forse più divisivo della storia moderna. Non si tratta di annacquare le differenze; no, la questione è che i valori della democrazia sono stati interiorizzati da tutti.

È questo quello che conta».

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