
Ora è certo: la pace, o anche un semplice cessate il fuoco in Ucraina, non arriverà grazie ad una stretta di mano tra Donald Trump e Vladimir Putin. La prima ad ammetterlo è la Casa Bianca che ieri ha ufficialmente "escluso un vertice nell'immediato futuro". L'alto funzionario a cui è stato affidato l'annuncio ha dato per annullato anche l'incontro tra il segretario di Stato Marc Rubio e il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov destinato alla preparazione del summit. Secondo fonti diplomatiche europee citate da Reuter, la Casa Bianca avrebbe realizzato di aver sottostimato le richieste russe per il cessate il fuoco. "Credo che Mosca volesse troppo e per gli Usa è diventato evidente che non ci sarà alcun accordo per Trump a Budapest" - spiegava ieri un diplomatico europeo. Il summit annunciato da Trump è stato quindi cancellato. A creare le maggiori perplessità sarebbero state le richieste avanzate da Putin nel recente colloquio telefonico con Trump, che come rivelato domenica dal Washington Post, avrebbe preteso come condizione preliminare il totale ritiro degli ucraini dalle zone del Donetsk ancora sotto il controllo di Kiev. Una condizione respinta "in toto" dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel corso dell'ultimo spigoloso incontro alla Casa Bianca con il presidente statunitense. Per difendere le posizioni ucraine sono scesi in campo ieri Giorgia Meloni e i principali leader europei unanimi nel chiedere "una pace giusta e duratura" e nel sostenere la necessità di fermare i combattimenti su "l'attuale linea di contatto punto di partenza dei negoziati". Il leader europei starebbero anche lavorando con Kiev per mettere a punto un piano di pace in dodici punti. I primi a far capire quanto le posizioni di Mosca e Washington fossero distanti erano stati ieri gli uomini del Cremlino pronti a ridimensionare sia le speranze di un summit in quel di Budapest, sia l'ipotesi del preliminare tra Rubio e Lavrov. Il primo a farlo era stato Lavrov sottolineando che Trump e Putin avrebbero concordato, fin dall'incontro in Alaska, di "lavorare sulle cause profonde del conflitto, sulla necessità di smettere di trascinare l'Ucraina nella Nato e di garantire i diritti legittimi della popolazione russofona". Come dire siamo pronti a dialogare, ma scordatevi risultati a breve. Concetto ribadito dai portavoce del Cremlino impegnati ieri a ribaltare la speranza di un summit "entro due settimane". Il primo a farlo è Dmitry Peskov smentendo qualsiasi data per l'annunciato faccia a faccia tra i presidenti di Usa e Russia. "Ciò che non è stato pianificato non può essere rinviato c'è un'intesa, ma né il presidente Trump, né il presidente Putin hanno mai indicato date precise - spiega il portavoce aggiungendo che "sono necessari preparativi, preparativi seri" perché "ci aspetta un lavoro difficile". I segnali di un cambio di clima arrivano anche dalla televisione russa. Fino a qualche mese fa Donald Trump veniva trattato con rispetto e deferenza. Ora invece commentatori e comici televisivi non esitano a ridicolizzarlo dipingendolo alla stregua di un grullo dotato di scarse capacità di comprendonio. La condizione posta da Mosca è, invece, assai chiara. O Washington riconosce la sua vittoria sul campo - concedendogli il controllo dei territori del Donetsk non ancora conquistati - o dovrà attendere che la condizione si realizzi grazie alla lenta, ma inesorabile avanzata del suo esercito. In questa prospettiva anche l'ipotesi di un preliminare tra il segretario di stato Marc Rubio e il ministro degli esteri Sergei Lavrov veniva definita prematura.
"Questo evento - spiega il vice ministro degli esteri Sergei Ryabkov, richiede preparazione proprio perché è altamente significativola telefonata del ministro con il Segretario di Stato è stata dedicata a questo, ma certi argomenti non possono essere resi pubblici".