Zonin in Commissione dice di non ricordare e piange sui soldi persi

L'ex presidente della Popolare di Vicenza smentisce pressioni da parte di Bankitalia

Gianni Zonin, ex presidente della Popolare di Vicenza
Gianni Zonin, ex presidente della Popolare di Vicenza

Con la voce da leone stanco, ma non vinto, Gianni Zonin ha risposto per quasi tre ore alle domande della Commissione di inchiesta sulle banche. Poggiati sulla sedia il loden verde e la valigetta di pelle marrone, ha ripetutamente chiosato che lui ragiona «come un imprenditore», non come «un banchiere o un bancario».

E nel corso dell'audizione l'ex presidente della Popolare di Vicenza, almeno per la parte non secretata, ha condito il suo intervento con molti «non ricordo», «non sapevo», «non era compito mio» (perché «non avevo deleghe o potere se non quello riservato ai presidenti di salvaguardare l'immagine della banca»), di riunioni importanti cui non era presente («mai partecipato a un comitato esecutivo in diciannove anni»). Mai saputo «niente» dei conti correnti dei Servizi Segreti». Dei cosiddetti finanziamenti «baciati» (ovvero i prestiti concessi ai clienti con la richiesta di acquistare contemporaneamente azioni della banca) è venuto a conoscenza «solo nel maggio del 2015», quando è stato convocato d'urgenza a Milano dal capo degli ispettori della Bce. E anche lui, «purtroppo», ha «perso molti soldi», ha detto ai giornalisti prima di salire al quarto piano di palazzo San Macuto accompagnato dal suo avvocato. Per poi sfilare davanti alla Commissione che, ha puntualizzato il presidente Pier Ferdinando Casini all'inizio della seduta, «non è un tribunale nè un organo inquirente o un quarto grado di giudizio». L'obiettivo è stato piuttosto chiarire eventuali pressioni da parte di Bankitalia per fondere la Vicenza con Veneto banca o con l'Etruria, incalzando Zonin anche sull'assunzione di una piccola pattuglia di ex funzionari di via Nazionale in banca.

«Non abbiamo avuto pressioni da nessuno» per il tentativo di matrimonio di Veneto Banca», ha riposto sul primo punto. Decaduto il progetto Veneto Banca, ha poi aggiunto, «sul mercato c'era qualche opportunità. C'era Etruria, ci siamo rivolti a Mediobanca come advisor e siamo arrivati a predisporre un'Opa da 0,90 a 1 euro circa per azione. Abbiamo fatto un'offerta da oltre 200 milioni poi c'è stata la risposta negativa e abbiamo accantonato questo progetto». A spingere verso Etruria «c'era stato un dossier di Lazard sul mercato e Rothschild ci aveva indicato» l'istituto di credito aretino. «Eravamo già presenti in Toscana con Cariprato - ha sottolineato - e con l'acquisizione di Etruria saremmo diventati il secondo istituto dopo il Monte dei Paschi» nella regione. Zonin ha dichiarato di non conoscere l'ex ministro Maria Elena Boschi e il padre Pierluigi, «non li ho mai visti». Ha invece incontrato «due volte il governatore Visco e una volta Draghi» senza però ricordare i motivi degli incontri. Di certo «non per Banca Etruria, può essere per Veneto Banca». In generale, «non ho mai ricevuto ordini da parte di Bankitalia per fare acquisizioni». Quanto alle «assunzioni pericolose» di ex funzionari di Bankitalia, «non era compito del presidente assumere il personale». Sicuramente, ha poi aggiunto, la Popolare di Vicenza «cercava le migliori professionalità» e questo spinse la banca a siglare una consulenza con l'ex dirigente della Vigilanza, Gian Andrea Falchi «che mi fu presentato dall'ambasciatore Sergio Vento. Mi disse che stava per andare in pensione, che era molto bravo» e in vista del cambio di regole con l'arrivo della vigilanza Bce, «a noi serviva un consulente di elevato standing con frequentazioni internazionali». Del resto, anche Unicredit «ha scelto il top della Banca d'Italia», ha detto riferendosi alla prossima nomina a presidente dell'istituto del direttore generale onorario di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni.

L'autoassoluzione del «viticoltore prestato alla finanza», come amava definirsi Zonin, è riassunta in una delle sue ultime risposte date ieri alla Commissione.

Perchè la Vicenza ha fatto crac? «Colpa dei dieci anni della crisi economica», delle regole «cambiate in corsa», del volume dei crediti deteriorati «che si è molto espanso», ha risposto. Se la colpa è stata anche sua lo decideranno i giudici con il maxi processo aperto al tribunale Vicenza martedì.

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