Francesca Amé
Il moderno è diventato un classico, e si paga a peso d'oro. Almeno così vanno le cose nel mercato dellarte. Anche chi non conosca Jackson Pollock o non abbia 140 milioni di dollari da spendere per un suo quadro (astratto, ovviamente), segua questa storia, perché ha qualcosa da dire a tutti.
Cominciamo dall'inizio. La notizia è sulle pagine di ieri del New York Times: un quadro del pittore espressionista astratto americano Jackson Pollock (il dipinto N. 5, 1948) è stato venduto dal produttore hollywoodiano David Geffen - fondatore dell'omonima casa discografica e, con Spielberg e Katzenberg, degli studi cinematografici DreamWorks - a un miliardario messicano di nome David Martinez, un finanziere che si sta dedicando al settore immobiliare di super-lusso e all'arte astratta a stelle e strisce. Pare che né l'uno né l'altro abbiano rilasciato dichiarazioni, ma c'è da giurare che gongoleranno nel sapere di aver sbancato tutti i record del mondo dell'arte, considerato che sino a ieri il primato spettava, per 135 milioni di dollari, al Ritratto di Adele Bloch-Bauer di Gustav Klimt. Particolare non di poco conto: la «Mona Lisa» dell'arte austriaca - così è chiamato il quadro di Klimt - fu acquistato da Ronald Lauder, l'erede del colosso dei noti cosmetici. Adesso Mr. Lauder, per rifarsi della spesa, farà battere in asta da Christie's a New York due acquarelli e un dipinto a olio di Egon Schiele che appartenevano alla sua collezione. Tre vendite astronomiche, tre imprenditori di grosso calibro, due storie parallele.
Guido Guerzoni, docente di Economia e gestione dei beni e istituzioni culturali all'Università Bocconi di Milano, non si stupisce. È lui a dirci che «il moderno è diventato un classico e Pollock non è più un contemporaneo, è quasi come un Monet». E chissà che cosa ne penserebbe Pollock, uno che cercò per tutta la vita di stare in guardia da snobismi e perbenisti, a vedersi in balìa di vendite che con l'arte c'entrano davvero poco: Geffen è sospettato di aver venduto il prezioso dipinto per finanziare le sue molteplici attività (e forse anche l'acquisizione del Los Angeles Times, il quotidiano più diffuso della California) mentre Martinez ha tutta l'aria di voler entrare nei salotti buoni dell'America che conta. «La strategia mi sembra chiara - commenta Guerzoni - il quadro di valore aiuta più di mille party a frequentare la gente giusta e a fare il salto. Immagino che Martinez presto diventerà l'idolo dei latinos di Los Angeles. In questo senso l'arte contemporanea è un bene posizionale». In altre parole: un acquisto che rende economicamente e socialmente.
Non è tutto: davanti a coloro che si stupiscono per le cifre a nove zeri riferite a quadri, come quello di Pollock, che risalgono a una cinquantina di anni fa, gli addetti ai lavori scuotono il capo. Sono anni che i collezionisti (per piacere o per capitale) hanno sovvertito il valore di rottura rispetto al sistema che l'arte contemporanea si vantava di incarnare. Se un autore è famoso, poco importa se abbia prodotto opere solo qualche decina di anni fa o addirittura se sia vivente: diventa automaticamente un «classico». Come tale, da elogiare, da quotare, da possedere nei salotti buoni. Da noi è accaduto con Lucio Fontana.
«Per i collezionisti proiettati nell'altro ieri uno come Pollock fa parte della storia, né più né meno di un famoso impressionista», spiega ancora Guerzoni. Le quotazioni dei rappresentanti di quella che i libri siglano ancora come arte contemporanea crescono di continuo e, come in questo caso, superano abbondantemente quelle dei grandi pennelli dell'Ottocento e del Novecento. Va da sé che acquisizioni di questo livello non accadono per caso: se è vero che il mercato dell'arte contemporanea è fiorente - lo è anche nel Bel Paese più di quanto non si sospetti - e che al suo interno vi sono mecenati, appassionati d'arte, finanzieri che non si muovono senza il loro consulente personale (garanzia di ottimi acquisti e di consenso tra la gente che conta), cifre come quelle di Pollock accendono il mercato in un batter d'occhio. Soprattutto perché dovrebbero essere riservate: qualcuno ha invece spifferato la notizia alle orecchie del New York Times.
Ma siccome nel mondo dell'arte le cose non appaiono mai lineari, piuttosto «pasticciate» quasi fossero opera di Pollock, l'euforia di questi giorni potrebbe anche rivelarsi una bolla bella e buona e i capolavori di Picasso, del «solito» Klimt, di Warhol e degli altri artisti dal valore milionario rischiano di rimanere invenduti per eccesso di rialzo.
francesca.ame@tin.it
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