Il popolo di Internet si mette a pedalare

«Chi gira in bicicletta non ammazza nessuno»

La provocatoria verità di Filippo Facci di una Milano impossibile per la bici, ha scatenato il popolo di internet. Nel blog di Ciclistica, www.ciclistica.it, associazione che si batte per una città ciclisticamente vivibile, viene riportato il corsivo sulla prima pagina del Giornale di due giorni fa e i commenti sono subito fioccati come multe nel centro storico: 39.
Facci scrive che «dall’inizio dell’anno ci sono stati quattro ciclisti morti a Milano: beh, credo che sia andata ancora bene». e Mork (in internet è il trionfo degli pseudonimi) chiosa: «Ecco, rispetto le tue opinioni ma frasi come queste non sono opinioni, sono sciocchezze. E se tuo figlio fosse tra quei 1000 che ogni anno perdono la vita in sella alle loro due ruote a motore o che peggio subiscono gravi lesioni tanto da renderli disabili. Sarebbe andata bene se fossero stati solo 4 tra cui il tuo? Scusa lo sfogo ma un morto è un morto, e i morti anche se non sono della tua famiglia sono comunque un lutto. Rispettali».
A seguire lo stressato di turno che vede poco e tutto nero. Il nomignolo scelto non lascia dubbi in proposito: Non ce la faccio più. «L’Italia non è fatta per le persone oneste. È fatta per truffatori, ladri e prepotenti, quindi o imparate a rubare ed uccidere oppure emigrate in un paese civile!». Deve avere sbagliato post. Pure Ermagister è contro: «È un articolo assolutamente antiliberale, visto che ridicolizza il diritto alla salute, alla sicurezza e alla libertà di scegliere come spostarsi di una minoranza». Lo stesso si scorda però che se si tratta di una minoranza, la stessa dovrebbe chinarsi alla maggioranza.
Caracollo, nomignolo perfetto per un ciclista, imbraccia l’arma dell’ironia: «chi ha scritto l’articolo non fa solo critiche fine a se stesse; tra le righe si legge anche una proposta concreta per risistemare un pochino il traffico: trasformare in parcheggi le piste ciclabili! Insomma, le bici ingombrano arrogantemente le strade, così meravigliosamente arredate da automobili colorate». Fulvio, caspita un nome normale, sospira sconsolato: «Questo articolo è la prova di quello che, purtroppo, pensano in molti: la bici è vista come intralcio, ostacolo, impedimento, come accidente macchinoso che imbriglia le persone e le espone al pericolo».
Trovare in rete uno che difenda Facci è una impresona, ha più iscritti il partito della Franzoni. Unto dal Pignone gli tende la mano (al giornalista): «Ha scritto una provocazione, non per dar la colpa del mondo ai ciclisti ma solo per dire che così stando le cose quella dei ciclisti è una battaglia persa. Ed è proprio da ciclista che devo dargli ragione. Io mi ostino ad andare in bici perché non sopporto le auto e i tempi di spostamento (la miglior invenzione per me sarebbe il teletrasporto...) nelle ore di lavoro e perché adoro sentir pompare il sangue mentre frullo le gambe nel tempo libero. Resta il fatto che da casa mia a San Siro è un Camel Trophy giungere in centro con una bici tra rotaie, buche, gradini». Poi l’affondo: «Pur comprendendo la rassegnazione di Facci, non posso tollerare che ci si dichiari sconfitti: se via Ariosto invece di quelle trincee dentro le quali scorrono i binari del tram, avesse quel delicato pavimento in granito che in Corso Garibaldi permette ai ristoratori di aumentare i coperti, arriverei in centro in un attimo, senza rischi e in giacca e cravatta, senza ginocchiere e casco da astronauta». Verissimo.
Simona ricorda «il diritto alla mobilità ecologica, economica e divertente (perchè in bici è molto più divertente che non stare in fila in macchina!). Ci sono un sacco di persone che la macchina non la vogliono guidare, o non la possono guidare! Sono stufa di vedere persone che utilizzano la macchina tutti i giorni per andare in ufficio in centro raggiungibilissimo dai mezzi pubblici, persone che se ne fregano dell’aria che si respira in città, tanto poi il weekend fuggono in montagna coi loro suv! Io questa città la vivo tutti i giorni in bici e la rispetto, chi ha più senso civico?». Stessa lunghezza d’onda per Kranebet: «L’Olanda (evocata da Facci, ndr) non è la terra della bici per condizioni oggettive, lo è perché la gente è civile e non è un paese come il nostro».
Greenkey invita invece a trasferirsi sul suo blog, http://loman.it/greenkey, quello di un cicloblogger: «Se io vado in giro in automobile sono un pericolo per gli altri (se investo una persona la faccio secca), mentre se vado in giro in bici sono un pericolo per me stesso e in misura minore per gli altri».
Diluvio di critiche (52 i commenti) anche in Onemoreblog, www.onemoreblog.it, che ha assegnato a Facci il Premio Calderoli, sorta di tapiro che il responsabile Alberto Biraghi ha indirizzato al Giornale: «Caro Direttore, stia tranquillo l'autore di Contro le biciclette: le sue considerazioni sono troppo surreali per procurargli dei nemici, corretti o scorretti che siano. L'unico commento possibile alla sua provocazione è una metafora. Eccola: Milano è come un obeso, che ingurgita hamburger e patatine (automobili) e continua a ingrassare. Non serve essere un medico per capire che per salvargli la pelle occorre che smetta di mangiare porcherie (ovvero di bruciare benzina e riempire le strade di metallo) e cominci a fare attività fisica (la bici come strumento ideale di mobilità urbana).

Per il "medico" Facci invece, la soluzione è lasciar mangiare l'obeso (tanti parcheggi e niente limiti di velocità) e tenerlo disteso sul letto, perché muovendosi sentirebbe male alle giunture e addirittura rischierebbe l'infarto».

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