Come si chiama? «Tocqueville». Alexis? «Anche. Ma non fare l'idiota. È una città, la città dei liberi». Interessante. Ma non ci sono case. Niente strade, neppure un divieto di sosta. Solo parole. «È un problema tuo, manchi di immaginazione. Comunque, visto che non sai sognare ti spiego che cosa è. TocqueVille è un social network, un aggregatore, un luogo dove gli autori di quella sorta di giornali personali che sono i blog si riconoscono, dialogano, leggono, si interrogano». Una piazza, un'agorà. «Una città di idee».
Questa conversazione un po' surreale è avvenuta in una di quelle notti di Roma che non finiscono mai. Sono passati più di due anni da allora. Andrea Mancia è il fondatore di TocqueVille e con lui hai condiviso gli anni di università mentre il Muro di Berlino cadeva, con il professor Antiseri che raccontava la società aperta e i suoi nemici. Lo conosci bene, ma quando per la prima volta ti ha parlato di una città delle idee, una rete di blog liberali e conservatori, cattolici e anarchici, radicali e comunitari, hai pensato che era solo un bel gioco. Litigheranno, dici. Andrea pensa di no, bisogna recuperare la lezione di Barry Goldwater. I repubblicani nel 1964 beccano contro Lyndon Johnson una sconfitta storica, una batosta. Le cronache raccontano di una lunga traversata nel deserto. Raccontano del lavoro certosino per far accomodare sotto lo stesso tetto politico due tipi apparentemente diversissimi di elettori: i liberisti individualisti dell'Ovest e i conservatori tradizionalisti e religiosi del Sud. È un processo lento e discontinuo che prende il nome di fusionismo.
Grazie all'attivismo di Goldwater e al finanziamento di grandi investitori culturali, nascono nuovi think tank e riviste. Il monopolio liberal del pensiero vacilla. «È quello che dobbiamo fare anche qui, i blog sono una risorsa, ma ora sono sparsi, bisogna creare un network». I cittadini della libertà.
All'inizio erano meno di cento, pochi pionieri, raccolti intorno alla rivista Ideazione. La città non aveva neppure un nome, poi c'è stato una specie di referendum, qualcuno diceva Right Nation, qualcun altro West Village, alcuni volevano la parola destra o moderati o liberale. Ha vinto il filosofo francese della democrazia in America. Ora la città conta quasi 1.300 abitanti (blogger), raccoglie 18mila contatti individuali al giorno ed è controllata da una società a responsabilità limitata. Le scelte strategiche dei cittadini sono spesso più innovative di quelle dei leader politici nazionali, qui l'idea di un partito delle libertà sul modello dei repubblicani americani non appare come una follia. Ma restano i quartieri, ognuno con la sua storia e la propria identità. Se vai nel quartiere storico dei liberali ci incontri 1972, al secolo Enzo Reale, un torinese che lavora a Barcellona e racconta con rabbia la Spagna di Zapatero. Il suo vicino di casa virtuale si chiama Phastidio.net (Mario Seminerio) con una passione per la politica estera e per economia e finanza. Se il primo è un inguaribile idealista, il secondo vede il mondo come Sancho Panza. Il risultato è che bisticciano da mattina a sera. Qualche isolato più in là ci sono i conservatori, dove abita Star Sailor (Francesco Sciotto), un siciliano che segue con molta attenzione la politica francese e il fenomeno Sarkozy o A Conservative Mind, un certo Fausto Carioti, che per disgrazia è anche vice-direttore di Libero e Mario Sechi, pari grado di Panorama, Giampaolo Rossi e Claudio Risè. La città è grande, il centro è occupato dai fusionisti, dove vivono lo stesso Andrea Mancia (Right Nation), Krillix (Cristina Missiroli), Kalamity Jane e FreedomLand. Quante anime ci sono? Parecchie. È un guaio visitarle tutte. Fatevi una mappa. Andate a vedere chi sono i Paleocon, quelli che non hanno nessuna voglia di barattare la libertà individuale in nome della sicurezza. E sono convinti che l'11 settembre non sia un buon motivo per rinnegare Thomas Jefferson. Prendetevi un caffè dai Neocon, un tempo molto di moda, dove è facile incontrare Camillo, una star del cyberspazio che i lettori del Foglio conoscono anche come Christian Rocca. Nella città ci sono spesso violente discussioni. Superlaici, radicali e liberisti sbeffeggiano il quartiere cattolico che lancia anatemi contro l'aborto, le manipolazioni genetiche e borbotta sotto voce perfino contro il divorzio. I libertarians, anarchici e capitalisti, replicano alla voglia di ordine, Stato e assistenzialismo della destra più sociale, quella che vota An, ma magari è stanca di Fini. Nel quartiere americano si parla soprattutto di politica estera e lo stesso avviene, con più rabbia, in quello israeliano, dove la star è Fiamma Nirenstein.
TocqueVille nasce da quella tradizione che per decenni ha combattuto a gruppi sparsi e minoritari, che non aveva utopie, e si trovava fuori sincrono con i demoni del Novecento. È una tradizione che pesca nei crocicchi, sulle linee di confine, nei buchi lasciati tra le reti dei regimi, allargati di notte come facevano i fuggiaschi dell'ex Ddr, quando cercavano un varco di libertà oltre il Muro. È la tradizione che ha gettato i suoi semi nell'America di Thomas Jefferson, nell'ansia libertaria di Tocqueville, nella rivolta individualista e anarchica di Stirner contro l'idealismo romantico. È il mercato etico di Adam Smith, quel signore scozzese che prima di gettare le basi della scienza economica era, non dimenticatelo mai, un professore di filosofia morale. È il fascino con cui Werner Sombart raccontava la forza creatrice del capitalismo, l'ansia di libertà del mercante, che cerca nel profitto, più che l'egoismo personale, l'affrancamento delle servitù feudali.
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