Qualcuno aspetta ancora quelle cartoline della nipote in vacanza al mare? E quel vecchio reclamo? Si consoli così: potrebbero averli usate per un falò, per riscaldare un «rave» notturno, o per sistemare un giaciglio di fortuna in mezzo a una montagna di immondizia. Di sicuro non è roba che interessi i «topi» di piazzale Lugano. Quelli che stanno smantellando pezzo per pezzo la vecchia centrale di smistamento della posta milanese. Loro puntano a obiettivi pesanti.
Ledificio - enorme - è chiuso da anni. Loro entrano nel magazzino passando sotto la serranda leggermente alzata con un bastone che fa leva. Sdraiandosi su un carrellino piazzato nella rampa di accesso, e legato al cancello con una corda. Uno si vede in azione nella sequenza fotografica.
La centrale di piazzale Lugano è unenorme carcassa di cemento, gesso e acciaio: 45mila metri quadrati ai piedi del cavalcavia Bacula. Le Poste lhanno letteralmente abbandonata circa otto anni fa, dopo che laereo ha preso il posto dei treni come mezzo privilegiato di trasporto della corrispondenza. Una volta scaricavano direttamente là, sui camioncini destinati ai vari uffici, tonnellate di carte, lettere, pacchi. Documenti che in gran parte sono rimasti in quellenorme «mostro» moribondo, ancora di proprietà della società, che non ha deciso che cosa farne (o almeno non lo dice).
Di sicuro sanno in che modo trarne una certa utilità i ladri che, forzando quel passaggio - ben in vista in piazzale Lugano, proprio accanto allattuale ufficio di smistamento - o approfittando di qualche altro buco, caricano giorno e notte sui loro carrellini materiali metallici da vendere o usare «in proprio». Sono rom, ma anche italiani. Lo conferma Tarcisio, 78 anni, da 18 in pensione dopo una vita da ferroviere, e un passato in serie C con la Triestina («giocavo con Maldini», ricorda con orgoglio legittimo). Ora Tarcisio e la moglie vivono in un appartamento - di proprietà delle Ferrovie - che si affaccia proprio sui binari utilizzati da Trenitalia e dalle Nord, che passano sotto il ponte della Ghisolfa, alle spalle del piazzale: «Li sento anche di notte, che battono e rovistano - racconta - picchiando delle martellate. Alcuni sono zingari, ma non ci hanno mai infastidito. Si sono portati via tutto, i fili, il ferro, il rame, non ci è rimasto più niente». Quel che è rimasto sono cumuli di sacchi di spazzatura, scatoloni, estintori, pacchi pieni di documenti, distinte, ricevute, registri.
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