«Pound non mi ha solo incoraggiato, mi ha cambiato l'esistenza»

Nelle nuove carte spicca soprattutto la generosa attività editoriale

«Pound non mi ha solo incoraggiato, mi ha cambiato l'esistenza»
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Abbazia di Westminster, il cuore della Chiesa anglicana. Il luogo dove seppelliscono i re e onorano i poeti. Una stele ricorda Thomas S. Eliot, che alla St. Stephen's Church di Londra, per anni, fu Vicar's Warden, la più alta carica per un laico nella Chiesa di laggiù. La stele è nera. In bianco è scolpita una frase dai Quattro quartetti, l'opera abbagliante di Eliot. «La comunicazione / dei morti è con lingue di fuoco al di là del linguaggio dei vivi». I versi sono tratti dall'ultima sezione del poema, Little Gidding, che «segna il trionfo della fede, a cui si giunge attraverso l'amore» (Roberto Sanesi). A ragione, sulla morte di T. S. Eliot, accaduta il 4 gennaio del 1965, Ezra Pound disse «la sua è stata una voce autenticamente dantesca - e non ancora apprezzata a sufficienza».

Grappoli di decenni distanziavano quel 1965 dal 1914, quando Eliot, il 22 settembre, a Kensington, grazie agli auspici di Conrad Aiken, incontra Ezra Pound. «Ha cambiato la mia vita. Era entusiasta delle mie poesie, mi ha incoraggiato, mi ha aiutato... », scrive Eliot, nel 1960. Pound, infatti, di fatto, è l'artefice del più influente poema del secolo scorso, La terra desolata, segata di oltre la metà rispetto alle intenzioni dell'autore, un lavoro di editing fatto con il machete del genio. D'altra parte Eliot, che con l'immersione nell'anglicanesimo prende un'altra via - anche poetica - rispetto a Pound (ribadita in una lettera a James Laughlin nel 1955, «penso di avere già chiarito il mio debito personale verso Ezra Pound negli anni 1915-22»), cercò di ricambiare l'affetto. Fin da subito, dal 1945, quando Pound è internato nel St. Elizabeths Hospital, tenta, a suo modo, pacatamente, di reagire. Nel 1948 riesce a far vincere all'amico il Bollingen Prize; nel 1957 promuove una petizione - con lui, Ernest Hemingway e Robert Frost - per scarcerare il poeta. Corruschi flash di una vita dedita monasticamente alla scrittura che risaltano dal magnifico - quanto sobrio - sito internet, tseliot.com, nato sugli auspici di Valerie Eliot (nata Fletcher), di quasi 40 anni più giovane di Eliot, da lui sposata in seconde nozze, nel 1957, folgorata sulla via del poeta - così scopriamo - all'età di quattordici anni, ascoltando la lettura del Viaggio dei Magi, «fu una epifania». Un'opera straordinaria, questa, che dimostra come internet non sia soltanto «chiacchiere & distintivo», cioè Facebook e feccia estetica, ma uno strumento perfetto.

La vita di Eliot precipita davanti ai nostri sguardi come un enciclopedico film, dagli anni francesi segnati dalle letture di Baudelaire e dall'amicizia con Jean Jules Verdenal, seguace del «classico, cattolico, monarchico» Charles Maurras e ucciso in guerra, ai Dardanelli nel 1915, a cui il poeta americano di nascita e inglese d'adozione dedicherà il Prufrock (che fece balzare Pound, «mr Eliot è tra i cinque o sei poeti viventi che un inglese può leggere con soddisfazione»), alla conversione, radicale, accaduta nel 1927, con battesimo alla Finstock church, per mano di William Force Stead.

L'aspetto più interessante del sito riguarda il lavoro - di scavo e di talent scouting - di Eliot nel The Criterion, la rivista che crea nel 1922 (e in cui si pubblica La terra desolata) e che dura fino al 1939, con una sfilza di collaboratori impressionante (si va da Hermann Hesse a Paul Valéry, da Virginia Woolf a Luigi Pirandello, Ezra Pound, E. M. Forster). Intorno a questi anni (1930-1934) ruota la mole di lettere, finora inedite, pubblicate in Rete. Sono biglietti (a Isaiah Berlin, a Ford Madox Ford, a E. M. Forster, «Mio caro Forster, quando passi da Londra riuscirai a venire a pranzo con me?»), testimonianze di un lavoro editoriale indefesso e ammissioni di umiltà.

In una lettera, ad esempio, ritorna Dante. Eliot si schermisce, «non mi sento sufficientemente qualificato per parlare di Dante». Il primo saggio su Dante, Eliot lo scrive nel 1920, accreditando la Commedia a poema-icona del secolo sgangherato dalla guerra.

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