Politica

Povero Veltroni, ora raccoglie firme per Tonino

Il guaio è che la sinistra non capisce. Qui in Italia c’è un’opposizione un po’ strana, che da anni non fa più politica, ma è ossessionata da un solo pensiero: buttare giù Berlusconi. È l’unico obiettivo, l’unico orizzonte, l’unica speranza. Tutto il resto non conta. Non conta la crisi, non conta il Paese e neppure la democrazia. Non contano i voti. È tutta roba inutile. Il risultato è che il Pd sta morendo dissanguato. È un partito senza elettori, che si lambicca il cervello alla ricerca di nuovi trabocchetti per incastrare il premier. È la sindrome di Willy il Coyote. Avete presente il cartone animato? Architetta di tutto per acchiappare Bip Bip e finisce sempre contro un muro, magari facendo due passi nel vuoto prima di cadere.

Ecco, il più Coyote di tutti ormai è Walter Veltroni. Ed è una fine che non meritava. Le autostrade sono cariche di gente che cerca di fuggire da questo agosto di mezza crisi. Fa caldo e non si cammina. Lontano da tutto questo Veltroni, un tempo capo del Pd, riappare per un attimo sulla scena politica. E lo fa con un’idea nuova: il conflitto di interessi. Veltroni si presenta con una bozza, scritta con Roberto Zaccaria, ex presidente della Rai, che si può sintetizzare così: come non far governare Berlusconi. Chi ha un patrimonio di almeno 30 milioni di euro non può fare il premier, il ministro, il sottosegretario o il commissario straordinario.

Veltroni sa benissimo che questa legge non verrà mai approvata dal Parlamento. È interessante invece guardare le firme sotto il documento. Ci sono Donadi e Leoluca Orlando, tutti e due in quota Di Pietro, UgoTabacci dell’Udc e Giulietti, ex Italia dei Valori, da poco migrato nel gruppo misto.

È tutta gente che dell’antiberlusconismo ha fatto una professione. Sono lì da anni, vagano tra il centro e la sinistra, e vedono in Di Pietro il loro Robespierre. Un tempo li avrebbero chiamati giacobini. Il conflitto di interessi è la loro litania. È la certificazione che Berlusconi non può governare, non può fare politica, non esiste. Veltroni un tempo aveva ambizioni da leader, sognava il grande Pd. Era l’uomo che aveva rubato a Obama il «si puòfare», versione maccheronica dell’ultimo sogno americano. Quello che torna in questo sabato d’agosto è un vassallo di Di Pietro, che deluso dal suo partito fa sponda con Orlando, Tabacci e Giulietti. E l’unica divisa che sa indossare è il vecchio antiberlusconismo.

Davvero Veltroni pensa di ricominciare da qui, nel sottoscala del dipietrismo? Era meglio andare in Africa. Tutto questo avviene mentre Beppe Grillo annuncia che la tessera del Pd non gli interessa più. Ormai ha un partito tutto suo, un partito di liberazione nazionale. La speranza è che Veltroni non finisca lì.

Sarebbe un triste finale di carriera. Quello che manca a sinistra è qualcuno che si faccia una domanda facile facile: come convincere gli italiani a votare per noi? Qualcuno che non assomigli a Willy il Coyote

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