Il polverone polemico sulle impronte ai minori nomadi è cominciato venerdì scorso, 27 giugno, quando il prefetto di Roma Carlo Mosca, (nominato dal governo commissario governativo per i nomadi per il Lazio) ha spiegato a un gruppo di studenti della facoltà di giurisprudenza delluniversità Roma Tre in una lezione su «I cittadini e il prefetto», che nel censimento che sarà fatto nei campi della Capitale non farà prendere le impronte digitali ai bambini rom. «Così come non si prendono le impronte digitali per il passaporto ai minori italiani, così non si vede il motivo per cui bisogna farlo con i bambini rom», ha detto Mosca rispondendo a una precisa domanda sullargomento.
Il prefetto ha spiegato che nei confronti dei nomadi non si farà unattività di «schedatura» ma di «ricognizione» con lobiettivo di conoscere diverse realtà fermo restando, nel caso si troveranno persone con problemi di giustizia, che si agirà di conseguenza. «Fermezza» ma nessuna attività di discriminazione nei confronti dei nomadi, ha detto ancora il prefetto, il quale ha ribadito che questopera di «ricognizione», sarà fatta da personale della Croce Rossa Italiana, per avvicinarsi ad una cultura diversa al fine di raggiungere forme più mirate per lintegrazione e lassistenza.
A Roma non è la prima volta che un prefetto prende posizioni in contrasto con le direttive del governo (nel caso specifico del ministro dellInterno Maroni che ha ribadito la piena legittimità delloperazione). Cè un illustre precedente che forse non tutti ricordano perché non sollevò le stesse polemiche ma che fu indubbiamente anomalo per chi, come il prefetto, deve garantire lordine pubblico e lapplicazione delle leggi a livello territoriale.
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