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Il prefetto con l’eskimo che è caduto sulle mele

Gianandrea Zagato

Nel suo primo week end da aspirante sindaco è in programma un tè danzante con Lina Sotis. Una crudeltà per Bruno Ferrante che non può rifiutare quel giro di valzer con sotto braccio l’ennesimo libro sul «bon ton». Ventiquattr’ore dopo, al suo battesimo televisivo, la claque scoppia in risatine quando la conduttrice lo sottopone ad un esame di milanesità: una cesta di frutta e verdura e la domandina «qual è il pomm?» (in milanese, mela) e lui, esitante «il pomodoro». Divertissement che, dicono, non abbia gradito. C’è da capirlo: Bruno Ferrante è abituato a ben altro, da quando, trentaduenne, nel suo ufficio c’è una targhetta che pesa: «Capo di gabinetto della Prefettura».
L’ESKIMO NELLA 500
Ma al Sessantotto che l’ha colto studente fuorisede (è nato a Lecce, nel 1947) di giurisprudenza all’ateneo di Pisa, Ferrante, indossava un eskimo color verde marcio. Quello stesso che si è pure portato all’ombra della Madonnina stipato nella 500, con i libri di diritto e di storia («suo pallino») e con una giovane collega di studi, pugliese di Taranto, Liana Sangirardi, «senza che glielo chiedessi ha scelto di dedicare la sua vita ai nostri due figli, Mauro e Mara». La biografia redatta dall’«amico» Angelo Maria Perrino non fa sapere che fine abbia fatto quell’eskimo, ma nelle immagini che lo ritraggono da grand commis di Stato non c’è traccia.
DAMERINO IN VIA CERVA
I cronisti mondani annotano, invece, i polsini delle camicie bianche sempre slacciati che escono «il giusto» dalle maniche di grisaglie impeccabili. E sotto scarpe preferibilmente scamosciate (fratelli Rossetti), calze rigorosamente blu, cravatte di Hermes o su misura da un artigiano che lo serve da sempre. Una metamorfosi: dalle barricate di Pisa a Palazzo Diotti. Cambia, ca va sans dire, anche l’orologio: un sofisticato Iwc che alterna al Rolex. La penna? Montblanc nera e massiccia, da cui non si separa mai. Un damerino, annotano i camerieri di quel bar dalle parti di via Cerva dove, ogni mattina, si concede il rito del tè. Sveglia alle sei virgola trenta, passeggiatina e lettura dei giornali: Corriere, il Giornale e la Repubblica.
MUSICA IN SOTTOFONDO
Lettura che apprezzava di più col sottofondo di classica, «più la sinfonica che la lirica», soprattutto Mozart e Beethoven. Nel suo studio prefettizio era, infatti, un must insieme ai cioccolatini e al caffé «fatto con la moka» e servito da un agente della polizia di Stato travestito da cameriere con tanto di rigatino. Adesso, nel suo quartier generale al 25 di via Turati, Ferrante, al massimo c’è il caffè nel bicchierino di plastica. E il suo ufficio è ben diverso da quello al piano nobile di Palazzo Diotti, quello ingentilito da un quadro di scuola napoletana, «la raccoglitrice di ciliege», davanti alla quale, Ferrante, ammetteva di raccogliersi «in silenzio per riaversi dalle fatiche». Alle tredici, ieri e oggi, una capatina a casa: pranzo a base di yogurt e insalata. Altrimenti? Pesce, pesce e, ancora, pesce.
VACANZE A DESTRA
Non sa però navigare in internet, anzi non ci capisce niente. Il primo computer a casa è arrivato due mesi fa: c’ha pensato il figlio - 31enne, laureato in Bocconi e manager di professione - a comprarne uno per papà. Idem per il cellulare. Meglio quando c’era a disposizione il centralino della Prefettura che lo rintracciava e collegava col mondo, anche quando se se ne stava al Tanka village di Villasimius. Appuntamento da diciott’anni: «Clima cordiale e piacevole» sulla spiaggia di sabbia bianca con Ignazio La Russa, Giovanni Bozzetti e Gianfranco Fini.
MEGLIO LE STRANIERE
Ma sulle automobili ha le idee chiare, «meglio le straniere che quelle italiane». E, allora, Bmw o Mercedes preferibilmente blu. Molto più accessoriate di quell’auto di servizio che lo scorrazzava da prefetto per Milano, con a disposizione della Prefettura quattordici-autisti-quattordici. E un factotum che «pensionato» l’ha seguito nella sua avventura da aspirante sindaco dell’Unione ovvero nella terza metamorfosi di Ferrante.
PIÙ LIBRI

CHE DOSSIER
Cinquemila libri «catalogati di persona», dove c’è un testo del 1860 di Urbano Rattazzi, ministro dell’Interno, che ha «ispirato» la ricetta del «signor Prefetto». E non sarà nemmeno esposto il «tapiro d’oro», regalo irriverente che i figli gli faranno all’indomani del voto, «ne ho già ricevuti un paio».

Un terzo «tapiro» all’aspirante sindaco del centrosinistra che, ricorda, come Mara - 28 anni, sposata da due e psicologa in una scuola - abbia «sgranato gli occhi quando le ho spiegato che mollavo tutto per la politica». E l’altro figlio, Mauro? Non aveva detto in ufficio, chi era il papà, «quando l’hanno scoperto, c’è rimasto male».

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