La mascotte di Berlino gli fa compagnia. La mascotte è un grande orso: vorrebbe abbracciarlo fra braccia morbide e pelose, lì sulla pista. Occhi puntati di 70mila persone che aspettano qualcosa daltro, di sensazionale. Ma Usain preferisce coinvolgerlo nel suo gioco. Non si sa mai! «Dai mettiamoci a tirare con larco». Si pongono in posa, straordinaria sincronia. A Bolt riesce qualunque magia. Anche di chiedere il silenzio allo stadio dopo la partenza falsa di Alerte, il francese. Poi mette una mano sul cuore. Fa la boccaccia davanti alla telecamera e dice: «Sono il numero uno». Non cera bisogno. Lhanno capito tutti.
Scena da un record. Una sorta di déjà vu che manda sempre tutti in allegria. La mano sul cuore viene spiegata dopo. «Faccio tutto questo per il mio Paese. In Giamaica sono folli per me ed io sono orgoglioso e onorato di correre per loro». Sì, cè qualcosa nel retrogusto: tutte le chiacchiere sul doping, quelle voci su qualche suo compagno di allenamento. Fastidi come moscerini da scacciare. Quindi meglio chiarirsi. E se cera qualcosa da dimostrare è stato chiarito. «Avete visto? I miei due record di Pechino non erano uno scherzo. Ma per arrivarci serve lavorare con dedizione e determinazione». La solita ricetta.
Cè dellaltro. I videogames, per esempio. «Sapete cosa ho fatto tutto il giorno? Me ne sono stato in camera, ho giocato ai videogames, mi sono rilassato, sono stato calmo». Cè da scommettere che adesso avremo unimpennata di videogamisti. Come non ce ne fossero abbastanza. Ma Bolt farà il miracolo. Come in pista. Facile a dirsi. Vero Usain? Guarda con locchio del ragazzone che scende dallalbero. Ma è solo una sensazione. «Rispetto a Pechino è stato più duro dal punto di vista fisico, non mentale». Ad accreditare lidea che lallenamento per i 200 metri non è stato il migliore possibile. «Ma ho fatto quello che dovevo. Ero qui per questo, ho corso bene». Lallenamento serve per altro. «Per diventare leggenda, mi sto avvicinando, ma devo lavorare duro».
Eppoi unaltra idea.
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