N ella giusta euforia dei grandi trionfi sportivi, siamo soliti leggere segnali che dallo sport riescono a tracimare. Anche qui a Stoccarda, esattamente come successe un'estate fa a Berlino per il trionfo della banda Lippi, riusciamo subito a leggere questo: l'Italia accerchiata, l'Italia additata, l'Italia offesa è l'Italia più forte. Con orgoglio, diciamo al mondo una cosa molto chiara: prendeteci a schiaffi, diventeremo migliori.
Anche Paolo Bettini e la sua squadra esemplare, dopo la vittoria mondiale, esprimono la stessa idea di riscossa collettiva. Quasi un marchio di identità nazionale. Abbiamo trasformato la bufera in una grande forza, ci siamo stretti e abbiamo fatto gruppo, avevamo una grande rabbia in corpo: questo si sente dire. E via rilanciando.
Ormai si può parlare di gloriosa tradizione.
Nell'82, l'Italia uscita dalle macerie dello scandalone Totonero vince il Mundial di Spagna, il Mundial più bello di sempre, che ancora oggi con le sue icone di pipe presidenziali e di urla tardelliane segna il patrimonio delle nostre nostalgie. Nel 2006, l'Italia che esce dalle macerie di Calciopoli ritrova la compattezza e l'affiatamento per ribaltare tutti i pronostici, portandosi a casa un nuovo Mondiale.
Ora anche il ciclismo: la nazionale del nostro sport più piagato riesce a costruire proprio sulle devastazioni degli scandali il suo grande spirito di squadra, riportando alla vittoria Bettini.
Spiega proprio Bettini: è una pura e semplice questione di orgoglio. Noi italiani siamo molto orgogliosi, quando siamo immersi nelle difficoltà tiriamo fuori le qualità più nobili. Probabilmente è così: riempiteci di schiaffi, riusciremo a stupirvi. È una strada. È uno stile. Se funziona, possiamo insistere. Però sarebbe anche ora di chiederci se sia poi così giusto, questo autocompiacimento della rivincita ripiccosa. Nell'euforia della vittoria, non dovremmo dimenticare che l'orgoglio l'abbiamo pur sempre ricostruito su scandali, inchieste e porcherie.
Festeggiamo gettandoci nelle fontane. Ma una volta ricomposti, proviamo almeno a cullare il sogno di un altro made in Italy. Dove le vittorie non siano solo espressione di macerie e di cataclismi, ma di un tempo e di un luogo normali.
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