
Quante persone in Italia percepiscono una pensione da oltre 40 anni? E quale impatto economico questo fenomeno ha sul sistema previdenziale? Le cosiddette “baby pensioni” rappresentano uno dei capitoli più controversi della storia previdenziale italiana, una eredità degli anni ’70 e ’80 che ancora oggi pesa pesantemente sulle finanze pubbliche.
Quante sono le pensioni attive
Secondo i dati Inps aggiornati al 1° gennaio 2024, sono 280.684 le pensioni attive con una durata superiore ai 43 anni, pari all’1,7% del totale delle pensioni IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti) in pagamento. Di queste, la maggioranza – circa 245.000 – riguarda il settore privato, mentre poco meno di 36.000 appartengono al pubblico impiego. Questi pensionati hanno iniziato a ricevere l’assegno in età sorprendentemente giovane: in media 52,3 anni nel settore privato e 53,5 anni nel settore pubblico. La durata media di tali pensioni supera i 44 anni, un arco di tempo decisamente superiore alla media europea.
L'importo medio mensile
Dal punto di vista economico, l’importo mensile medio è di 1.020 euro per i pensionati privati e raggiunge 1.607 euro per quelli pubblici, con una spesa annua che si attesta intorno ai 9 miliardi di euro, equivalenti a circa il 6% della spesa pensionistica complessiva italiana. Se consideriamo l’intero valore attuale delle pensioni erogate con queste caratteristiche, la cifra si avvicina ai 102 miliardi di euro, che salgono a circa 130 miliardi se si includono anche gli assegni estinti nel tempo.
La spesa per le pensioni
La spesa per pensioni in Italia è tra le più alte d’Europa, rappresentando il 16,3% del PIL nel 2021, ben al di sopra della media europea del 12,9%. In questo contesto, il peso delle baby pensioni è particolarmente significativo e pone questioni di sostenibilità a lungo termine, soprattutto in un Paese con un rapporto tra lavoratori attivi e pensionati ormai vicino a 1,46, valore critico per il sistema.
I benefici
La genesi delle baby pensioni risale a leggi speciali e agevolazioni che, per esempio, consentivano alle dipendenti pubbliche con figli di andare in pensione dopo soli 14 anni e mezzo di contributi, e permettevano di riscattare periodi di studio e maternità, accorciando ulteriormente il percorso verso la pensione.
Oggi, questi benefici si traducono in una spesa previdenziale che grava pesantemente sulle casse pubbliche e limita la capacità di investimento nelle pensioni future e in altri settori sociali. Nonostante le riforme degli anni ’90 e del nuovo millennio abbiano provato a contenere questi effetti, il fenomeno resta un fardello per il sistema previdenziale italiano.