Cronaca locale

Il primo medico legale della storia lavorò nella necropoli della Statale

Il primo medico legale della storia? Un milanese. Il «catelano» in questione, di epoca sforzesca, si chiamava Giovanni Catellani, il cui nome - come del resto quello dei Visconti - originava dalla funzione. Il primo primario ufficiale dell’Ospedale Maggiore (la famosa Ca’ Granda di via Festa del Perdono, oggi sede dell’Università Statale, gioiello architettonico e funzionale voluto dal duca Francesco Sforza e progettato dal Filarete), insieme con il geniale Dionigi da Norimberga, durante la tremenda epidemia di peste del 1485, a Milano, si divisero il compito di registrare i morti e visitare i vivi contagiati. Questa è solo una delle affascinanti quanto sorprendenti scoperte frutto del lavoro certosino e puntuale di Francesca Vaglienti, docente di Storia Medievale alla Statale di Milano, e Cristina Cattaneo, direttore del Laboratorio di Antropologia Forense (Labanof) presso l’ateneo, presentate nei giorni scorsi dalle due ricercatrici nel corso di un convegno in città.
Tutto nasce da un’altra, incredibile scoperta, quella della necropoli sotterranea che si sviluppa proprio sotto la chiesa dell’Annunciata alla Ca’ Granda: un sepolcreto che contiene qualcosa come 500mila corpi e oltre di milanesi vissuti in città in un arco di tempo che va dal 1473 al 1695 e che morirono per le cause più diverse. Comprese, ovviamente, le vittime della peste del 1629, raccontata dal Manzoni nei Promessi sposi. «La ricerca dura da anni - spiega Francesca Vaglienti - ma fino al settembre scorso è stata solo documentaria. Poi, grazie alla collaborazione di Paolo Galimberti (direttore del servizio Beni culturali della Fondazione Policlinico Ospedale Maggiore, ndr) ci è stata data la possibilità di fare un primo sopralluogo nel sepolcreto, un vero e proprio archivio biologico, tanto imponente e ricco di potenziali informazioni quanto fragile».
La storia del Policlinico comincia nel 1456, anno della fondazione della Ca’Granda, il monumentale complesso ospedaliero fondato dal duca Francesco Sforza con la moglie Bianca Maria, per riunire in un solo grande polo sanitario i piccoli ospedali della città. Da allora l’attività del «catelano» è stata continua e continuativa: «La sua funzione era primariamente sanitaria - spiega Cristina Cattaneo -. Si trattava di un vero e proprio medico, al servizio del duca, che registrava la causa di morte di tutti i decessi, e non solo per quelle sospette, come accadeva invece per i primi coroner inglesi, che peraltro non erano neppure medici». Il nome catelano deriva probabilmente dalla veste che indossavano a scopo profilattico: non si trattava dunque di un camice ma piuttosto di un vestimento completo che doveva proteggerli.
Le prime, parziali analisi sulle ossa del sepolcreto hanno inoltre permesso di rivelare altri dati sorprendenti. Come, ad esempio, il fatto che già in epoca rinascimentale si moriva per malattie autoimmuni, piuttosto che da avvelenamento da piombo, elemento tossico estremamente diffuso e presente in maniera massiccia nel peltro, usato per produrre «bicchieri» e calici, così come nei cosmetici del periodo, utilizzati abbondantemente sia dagli attori di teatro sia dalle prostitute.
«Dietro a quelle che potevano sembrare semplici e scarne registrazioni di morte, in realtà, c’è un obiettivo di vita - sottolinea Francesca Vaglienti -. Si tratta di annotazioni estremamente precise e minuziose, luminose aperture di squarci sul passato. Questi medici non si fermavano all’apparenza, e le prove sono molteplici, come quando, in un periodo di peste, si scoprì che una bambina era morta non a causa del virus ma di fame. La vita, dunque, è il vero filo rosso dell’attività dei catelani.

Ed è anche il nostro obiettivo di ricercatori: guardare avanti, al futuro nostro e di chi verrà dopo di noi, per lasciare un segno, una testimonianza, umana e umanista, oltre che scientifica, di chi siamo, di chi siamo stati».

Commenti