
nostro inviato a Torino
E così, come edizioni, siamo a 37, numero dell'espressione creativa e della caparbietà nel perseguire un progetto. E poche realtà culturali come il Salone del libro, abituato a sopravvivere a crisi e polemiche di ogni tipo, simboleggiano il concetto di creatività e di determinazione.
Benvenuti al Lingotto di Torino, per cinque giorni città-capitale del regno del libro, un po' fiera un po' festival, tra mercato e letteratura. Tagline dell'edizione 2025, «Le parole tra noi leggere», dal romanzo di Lalla Romano, scelto fra fogli e figli, dalla direttrice Annalena Benini - per riflettere sul potere delle parole e sulla loro capacità di creare dialoghi.
E ieri, alla cerimonia di apertura - gonfia, come tutte le cerimonie inaugurali, di retorica e buoni propositi - in tanti hanno giocato a declinare la frase guida, chi preferendo il verbo «lèggere», chi l'aggettivo «leggèro». E così hanno parlato - chi leggendo, e non è mai elegante, chi leggero, forse troppo il sindaco di Torino, Lo Russo (il libro come «ponte tra le generazioni», il libro «che da voce a chi non ce l'ha»), varie figure istituzionali, la direttrice Annalena Benini, che fa della concisione, se non della concinnitas, il proprio punto di forza; e alla fine sono i due politici di prima fila, da sponde opposte, a lasciare un segno nella mattinata. Il primo è Vincenzo De Luca, governatore della Campania, Regione ospite del Salone: ha spiegato meglio di tutti la tragedia che oggi vede vincente un post falso sui social rispetto a un pensiero pensato di un libro; e poi, cavalcando un'altra tragedia, quella palestinese, ha strappato facilmente un gigantesco applauso ricordando che «sta arrivando nell'Ospedale pediatrico Santobono di Napoli un bambino di tre anni devastato dalle bombe israeliane. È una vergogna per il mondo civile quello che sta accadendo a Gaza». E il secondo è il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, molto felpato, conciliante (anche sul caso dell'appello firmato da registi e attori che chiedono più attenzione da parte del ministro sul cinema: «Io dico che ha ragione il comandante Favino quando dice che bisogna dialogare: non mi interessano le firme, non mi interessa che siano pro o contro, ma risolvere insieme i problemi») e fiducioso sul futuro del libro nonostante i dati impietosi (nel primo trimestre 2025 le vendite di libri in Italia hanno subito un calo di 810mila copie rispetto allo stesso periodo del 2024): ha ricordato che con il Piano Olivetti il Governo investe 34 milioni di euro per le biblioteche e per la filiera dell'editoria e ha annunciato l'impegno per la stabilizzazione dei fondi per biblioteche e librerie (accennando a una sorta di tassa si scopo sul «modello Pantheon» da investire nel mondo del libro).
E così, con un cauto ottimismo, dopo il giro per i Padiglioni del ministro (percorso netto tra gli stand con strette di mano e photo opportunity e l'immancabile giovane professore antisistema, ma di ruolo, che sussurra alla classe in visita «Io 'sto fascio non lo reggo»), si può iniziare la cinque-giorni torinese del libro.
Con le prime contestazioni. Nel pomeriggio un gruppo di «pro Pal» - un centinaio, molto agguerriti - ha cercato di sfondare i cancelli dell'ingresso principale ma sono stati fermati dalla polizia in assetto antisommossa. Al grido di «Fuori i sionisti dal Salone» e «Palestina libera», hanno bloccato alcune entrate per un paio d'ore, sventolando bandiere e leggendo lunghi proclami pro Palestina e anti Israele. Al centro della protesta l'incontro che aveva come protagonista Nathan Greppi autore del saggio La cultura dell'odio, libro ritenuto inaccettabile e fazioso dai manifestanti. Il Salone è anche questo: un luogo dove si scontrano libertà di pensiero, propaganda, ideologie e pericolose voglie di censura.
Infine, da registrare una curiosa polemica «commerciale». Un centinaio di piccoli editori hanno scritto una lettera agli organizzatori del Salone contro la «concorrenza sleale» che la catena il Libraccio mette in atto «attraverso la vendita di libri usati a prezzi estremamente bassi». Di fatto hanno ragione loro: il Libraccio sfrutta il fatto di essere anche editore (di pochissimi titoli) per affittare uno stand enorme per vendere libri usati (facendo peraltro sempre il record di incassi). Però da parte sua, ha ragione anche il mercato: se il visitatore compra più libri fuori catalogo e meno novità, qualcosa vorrà dire...
Alla fine il caso si chiude con un compromesso all'italiana: il Libraccio si impegna a non mettere in vendita libri pubblicati negli ultimi due anni, cioè i più recenti.Come si dice in questi casi, Il Salone è bello perché di libri ce n'è per tutti.
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