Probabile che rida ancora

Interno notte. È il 15 luglio 1996 e sono quasi le tre del mattino. Bettino Craxi è accanto al suo fido Luca Josi e sta ammaliando un bivacco di attenti ragazzotti, tra i quali lo scrivente. Parla da ore. Discorsi pazzeschi che spaziano dai più incredibili retroscena sul terrorismo a improbabili affreschi sulla guerra d’Africa, e in quel momento non c’è altro luogo al mondo dove valga la pena di essere. Si parla anche di socialismo, ovviamente. Il socialismo di qua, il socialismo di là. Perché il socialismo, del resto il socialismo. «Che poi, il socialismo», scandisce Craxi a un certo punto, e ci mette in mezzo anche una pausa delle sue, lunghissima, «che cazzo sia ’sto socialismo, alla fine, non l’ha ancora capito nessuno». Una pausa, poi dal gruppetto parte una risatina accennata. Poi un’altra, timida. Un’altra. E un’altra.

Poi è uno scoppio demenziale, un fragore di risate isteriche, un delirio liberatorio che spezza la notte di Hammamet: i ragazzotti stramazzano dal ridere e Bettino da principio è come inceppato, li guarda come se gli stessero facendo un affronto: ma poi comincia a sorridere anche lui, a ridere anche lui, forte, sempre più forte, ma un po’ di lato, perché si vergogna, ride, e all’inferno tutti quanti. Bettino Craxi è morto il 19 gennaio di 9 anni fa.

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