Roberto Scafuri
da Roma
Evviva il compagno Oliviero Diliberto, che ha il dono di dire pane al pane. Lui lha chiamata doverosamente «tigna», quella del Professor Prodi, e doverosamente lha apprezzata: «È stato impeccabile». Ma non tutti i pareri dellUnione, dopo quellapoteosi di blob risuonata nellaula di Montecitorio - quel «Per me, in particolare» ripetuto per nove volte come in un tormentone di Petrolini -, hanno la fresca schiettezza del segretario pdci. Almeno i pareri ufficiali, perché il più prodiano dei prodiani, nonché comunicatore del Principe, qualche dubbio sulleffetto mediatico del «per me, in particolare» lo confida. Silvio Sircana racconta che i preparativi per la giornata campale sono stati accurati, «e ci eravamo posti il problema della gazzarra». Ma quellimpuntatura, quel gioco di interdizione-vittimismo-ostinazione come prevederlo? «Lì cè tutto Lui, cè la sua tenacia superiore», scherza Sircana. Si sente un bulldozer, Prodi, e lo dimostra.
«Mediaticamente avrà funzionato?», il dilemma di Sircana. Per alcuni unionisti il gioco di ruolo ha posto il Professore alla stessa stregua degli «assalitori», concedendo loro lalibi della provocazione. Secondo altri, invece, Prodi così ha voluto e saputo dimostrare ai telespettatori la vivacità (eufemismo) del centrodestra. «Un Materazzi al cubo», sintetizza un ulivista più divertito che convinto. Forse piuttosto un Moro in sedicesimo, secondo il prezioso aneddoto raccontato da Bruno Tabacci. Fu al congresso democristiano del 69, Aldo Moro (in minoranza) prese di petto Flaminio Piccoli, definendolo «un misto di opportunismo e di abnegazione». Successe il finimondo, gli schiamazzi provocarono addirittura linterruzione del congresso, e «alla ripresa dei lavori, puntiglio politico e orgoglio superiore, Moro ricominciò esattamente da dovera rimasto, ribadendo la stessa frase che aveva scatenato la gazzarra». Lallievo Romano, che a quel congresso «di sicuro doveva stare nei paraggi», ha incamerato la lezione. Emulo di un altro democristiano dannata, Carlo Donat-Cattin, è andato verso la decina di ripetizioni senza riuscire a battere il record del maestro (pare che in una burrascosa riunione dc Donat-Cattin riuscì a tacitare gli oppositori ripetendo addirittura per 12 volte la stessa frase).
Insomma, provocatore o vittima? La dinamica daula racconta di un vicepremier Rutelli che alle prime due ripetizioni dice chiaramente a Prodi: «Non tinterrompere, non cadere nelle provocazioni...». Ma dalla terza in poi, avendo compreso la sardonica insistenza, regge il gioco, voltandosi inviperito più volte verso il presidente Bertinotti: «Ma che assemblea è questa! Non lo lasciano concludere!...». E lo stesso Bertinotti con garbo cerca di ricondurre il Professore alla ragione («Presidente, vada avanti...», scandisce), salvo poi a difenderlo nella capigruppo, quando il forzista Elio Vito gli chiede di richiamare anche il premier per leccesso di provocazione. Un Bertinotti arbitro interessato, visto che aveva dovuto sudare sette camicie per convincere il premier al dibattito in aula. E deciso persino a interrompere e aggiornare la seduta, pur di scongiurare la bagarre, facendo così saltare la diretta tv.
Una minaccia che ha consentito il seguito del dibattito, con lintervento unionista più pregnante, quello del rifondatore Giordano, che ha chiesto a Prodi «una svolta nella politica industriale», vista la «nessuna qualità delle privatizzazioni», e una prospettiva non più mirata sullazienda Telecom bensì sui suoi 84mila lavoratori. Gli altri leader di maggioranza hanno invece finito per approfittare del clima per attestazioni di stima e solidarietà al premier. Una difesa della cocciutaggine di Romano, della sua «testarda coerenza» (Monaco, ulivo), messa a repentaglio da un clima di «squadrismo verbale» (Galante, pdci), da un «siparietto verbale» (Donadi, Idv), da una «rissa tra sordi, da aggressioni e malignità» (Fassino, ds).
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.