da Roma
Una cosa è certa: Romano Prodi ha scelto bene la sua arma anti-Veltroni.
La ministra Rosy Bindi ha grande verve e professionismo politico, è assai popolare in quella sinistra catto-girotondina al cui cuore sa parlare, e soprattutto ha preso assai sul serio il suo compito: non molla un attimo nella sua offensiva contro «il vincitore predestinato», come dice il prodiano (e ovviamente bindiano) La Forgia. Tanto da far preoccupare i sostenitori del sindaco di Roma, che iniziano a chiedersi quanto consenso potrà capitalizzare la Bindi nelle urne delle primarie dottobre, togliendo terreno a Walter. La ds Marina Sereni lancia lallarme: basta risse, altrimenti la gente non andrà a votare. E il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, ironizza feroce paragonando le primarie «allisola dei Famosi, quella dei personaggi che partecipano pur di farsi notare».
Anche ieri però la candidata è tornata a picchiare duro, accusando Veltroni di «scorrettezza» perché getta sui suoi competitori (e soprattutto su di lei) il «dubbio» che corrano per «posizionarsi» e ottenere «visibilità» con i loro attacchi polemici. Dopodiché ha attaccato il punto debole dellecumenismo veltroniano, sostenendo che i supporter del segretario in pectore dicono «cose molto diverse tra loro» sia sul programma che sulle alleanze, e che un candidato «deve avere un pensiero solo e non pensare a tenere insieme il pensiero di tanti e cercare il consenso di tutti, senza poi trovare la sintesi di cui il paese ha bisogno».
In realtà, su questo punto, Veltroni è ben deciso a smentirla coi fatti: nelle prossime settimane inizierà il suo«giro dItalia» con lintenzione di lanciare «proposte concrete su temi specifici», come annuncia Goffredo Bettini, il potente ds romano indicato come uno degli strateghi del sindaco. E ha fiutato subito che uno dei temi forti da sventolare è quello del fisco. Proprio mentre il governo di Romano Prodi torna a farsi del male agitando lo spettro di nuove tasse, col premier costretto a fare il pompiere per tentare di rassicurare lopinione pubblica, Veltroni tornerà alla carica contro quella «sinistra del tassa e spendi» che già aveva messo nel mirino nel discorso del Lingotto, e con la collaborazione dei «coraggiosi» di Rutelli e dei liberal diessini lancerà una serie di proposte in materia fiscale, rivolte soprattutto al Nord produttivo. E se lUdeur, con Fabris, sfida i candidati del Pd, immersi in un «asfittico dibattito», a dire «chiaro» come la pensano in materia di legge elettorale, Veltroni lancia un messaggio anche sulla questione delle alleanze: il suo Pd dovrà avere «vocazione maggioritaria» e «non potrà presentarsi alle elezioni dentro coalizioni disomogenee». Meglio «accettare il rischio di correre da solo» piuttosto che «giustificare la vaghezza o lambiguità del programma in nome del feticcio dellunità della coalizione». Critica implicita, ma feroce, al programmone onnicomprensivo di Prodi, e avvertimento chiaro alla sinistra massimalista.
I prodiani replicano continuando ad attaccare a testa bassa: da La Forgia che accusa Veltroni di diffondere «veleni» contro chi «disturba la sua marcia trionfale», a Franco Monaco che esalta «il linguaggio della verità» della Bindi contro «un candidato che pensa a sé stesso come unico» e che «si porta appresso il modello di partito feudale e correntizio che lo ha investito». Fino a Marina Magistrelli che denuncia «lo scandalo» dellesclusione delle donne dalla «spartizione» delle cariche. E Prodi, forse accorgendosi che così finisce in mezzo alla mischia mentre tutti cominciano a cucirgli addosso i panni del «mandante» delle operazioni anti-Veltroni, cerca di prendere le distanze.
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