
In una pagina dello Zibaldone, commentando il desiderio di svelare il volto del misterioso amante notturno che sconvolgeva la vita di Psiche nella favola di Apuleio, Leopardi scriveva: "l'uomo non è fatto per sapere, la cognizione del vero è nemica della felicità, la ragione è nemica della natura". E poco prima, ricordando la Genesi, commentava che "l'origine immediata dell'infelicità dell'uomo si attribuisce manifestamente al sapere". È il mondo greco, però, più di ogni altro, ad avere un rapporto conflittuale con il desiderio di conoscenza: il "maestro di color che sanno" è Ulisse, che, pur di conoscere l'incanto mortale della voce delle Sirene, decideva di farsi legare i piedi e le mani all'albero della sua nave. Nonostante il fascino del sapere, gli esempi mitologici di chi desidera conoscere sono sempre tragici. I più noti sono Prometeo e Edipo, di cui escono, per Ares, due tragedie tradotte da Ezio Savino, storico e compianto collaboratore di questo giornale: il Prometeo Incatenato e l'Edipo a Colono.
Il protagonista della prima tragedia è Prometeo, che dona il fuoco agli esseri umani e, per punizione, è condannato da Zeus a vivere per sempre incatenato a una roccia davanti al mare: "ho offerto privilegi ai viventi ed eccomi, soffro sotto le stanghe di questa stretta fatale. Quel giorno, a colmare uno stelo di canna, intrappolo di frodo lo zampillo del fuoco": una traduzione densa, dura e complessa che restituisce la tragicità della condizione di Prometeo, costretto a sopportare anche un'aquila che divora il suo fegato. Tragico è anche il conoscere di Edipo, che, dopo aver risolto l'enigma della Sfinge, sposa, senza saperlo, sua madre, Giocasta: patricida, marito di sua madre, Edipo si acceca e fugge a Colono, in compagnia della figlia, Antigone: "figlia, sono spento, grigio. In che spazi siamo? Chi s'aprirà a Edipo, perso nello spazio? Pretende molto poco, e trova sempre meno". Ma inaspettatamente, Edipo, da trasgressore, "diventa il più fedele seguace degli dèi, e il loro strumento", scrive Rosita Copioli: e quel dolore atroce, insensato che ha dovuto sopportare, lo santifica.
Non a caso, il Coro dei Vecchi, alla sua morte, intonerà versi solenni e meravigliosi che, anche dopo molti secoli, ci illudiamo ancora possano essere veri: "Poiché tanto è il dolore che tocca all'uomo, anche senza ragione, Dio, nella sua giustizia, lo riconduca in alto".