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Non solo Tav, tutti i vestiti di Askatasuna

Il rituale prevede una biomeccanica dello scontro con qualsiasi tema come pretesto

Non solo Tav, tutti i vestiti di Askatasuna
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Il centro sociale Askatasuna è stato antifascista, No Global, Pro pal primo tempo, No Tav, pro curdi, pro Cospito, ancora Pro pal, No giornalisti e No Meloni: perché ora c'è la Meloni. Il rituale prevede una biomeccanica dello scontro con qualsiasi tema come pretesto. Da trent'anni.

1996 Occupano uno stabile a Torino. Il patto fondativo non prevede terzomondismo salottiero: Askatasuna nasce come avamposto fisico dell'antagonismo cittadino, e privilegia il conflitto reale a quello simbolico.

1999 La prima legittimazione muscolare è sul lavoro: Torino ricorda quel Primo Maggio coi suoi 110 rinviati a giudizio per lesioni e devastazione.

2000 Primi echi No Tav. Non si è mai trattato di ambientalismo o tutela del territorio, o ancora questioni climatiche o Fridays for Future: il No Tav si è sempre posto come bandiera per colpire lo Stato e l'infrastruttura, non per salvare la montagna. La causa è già perfetta: ci sono polizia, Stato e multinazionali da abbattere.

2002 Anni di antipolitica d'assalto, un ring permanente in cui ogni manifestazione è un corpo a corpo con l'obiettivo scelto: contestazioni fisiche, cortei sabotati e partiti presi di mira.

2003 Un primo corteo pro Pal fa da detonatore urbano: devastazioni, sedi politiche occupate e blocchi cittadini. Il conflitto internazionale è trasformato in scontro locale, allora come oggi.

20052010. Il fenomeno No Global si spegne, i social forum finiscono, anche l'antagonismo di massa evapora: ma Askatasuna resta. In città, con cadenza settimanale, si materializza un corteo, una contestazione, un picchetto.

2011-2015 No Tav, il ritorno. La Val di Susa diventa una seconda patria da difendere tra blocchi autostradali, sassaiole, razzi e armi vere. Il culmine arriva nel 2013 con l'assalto al cantiere di Chiomonte: molotov, caschi e materiale pirotecnico. La Procura parlerà di "metodi paramilitari".

2016-2018 Salto di specie: alcuni militanti partono per la Siria del Nord a combattere con le milizie curde del Rojava. Al ritorno vengono sorvegliati in quanto ritenuti "socialmente pericolosi". Ogni retorica pacifista ne esce incrinata.

2019-2021 La Digos produce migliaia di pagine (ruoli, dinamiche, catene di comando) e la Procura tenta la qualificazione associativa (sovversiva, poi per delinquere) ma il tentativo deraglia, pur lasciando una scia di reati concreti: condanne a grappolo per resistenza, lesioni, minacce e devastazione.

2023 Il caso del detenuto Alfredo Cospito (un anarchico condannato per terrorismo) diventa la nuova scusa liturgica: lo Stato è torturatore, la repressione è sistemica, la solidarietà è rivoluzionaria. I cortei sfociano in scontri e danneggiamenti.

2023-2024 Pro Pal, il risveglio. Blocchi ferroviari, strade paralizzate, incursioni nei centri d'accoglienza, cariche e controcariche.

2025. Assalto a La Stampa e No Meloni.

L'intimidazione nel giornale torinese lascia straniti quanti pensavano che Askatasuna leggesse i corsivi di Annalisa Cuzzocrea. Poi si passa (si resta) a Giorgia Meloni: etichetta elastica, buona per tutto, ogni antagonismo concentrato su un solo nome. Lo scontro come identità.

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