La provocazione Ma attenti agli eccessi: fanno male anche a noi occidentali

L'entrata in vigore della legge francese che vieta il burqa e il niqab, veli femminili utilizzati in alcuni Paesi islamici per coprire integralmente il volto, sta suscitando un mare di polemiche. In gioco, in effetti, c’è molto di più di quanto a prima vista non sembri.
È chiaro che l'iniziativa è figlia di preoccupazioni banalmente propagandistiche: di piccolissimo cabotaggio. Da molto tempo il premier francese sta perdendo consenso a vantaggio di Marine Le Pen, nuova leader della destra estrema, e quindi prova a competere sul suo terreno, giocando la carte del nazionalismo e dell'islamofobia.
Ma il guaio è che i suoi calcoli possono essere fondati, dato che lo scenario è quello di un Paese che, dalla Rivoluzione francese in poi, fatica a garantire il pieno rispetto di ogni opinione religiosa e un'autentica tutela dei diritti individuali fondamentali. Poiché ha adottato lo Stato quale proprio Dio, una certa cultura politica d'Oltralpe ha minato alla radice la libertà di culto e di espressione. E fa impressione leggere che le donne arrestate in queste ore perché coperte da un velo saranno costrette, se non vorranno versare 150 euro di multa, a seguire un corso di (ri)educazione civica. Una soluzione da Urss brezneviana.
L'intento della legge trova un suo condivisibile fondamento se si tratta di permettere la riconoscibilità della persona sulla base di esigenze di ordine pubblico. In quel caso, però, la norma avrebbe allora dovuto colpire anche il casco dei motociclisti, evitando di prendere di mira un gruppo specifico.
È però chiaro a tutti che questa legge è solo il pretesto per una battaglia, del tutto irresponsabile, contro l'Islam nel suo insieme. E in effetti la stessa maggioranza di governo, a Parigi, difende l'iniziativa in nome dei valori della «laicità». Vediamo insomma riprodursi lo stesso spirito intollerante che da qualche anno proibisce agli studenti francesi di portare in classe simboli religiosi (fossero anche una croce o una stella di David appese al collo) e che ora nega perfino di manifestare il proprio pensiero nelle strade. In tal modo, nella laicissima Francia, le processioni cattoliche a Lourdes e gli stessi pellegrinaggi rischiano di essere equiparati a crimini.
A protestare contro la nuova legge, allora, non dovrebbero essere solo gli islamici.

Alla loro voce dovrebbe unirsi quella di tutti gli europei che hanno a cuore la libertà individuale, che credono nella tolleranza più che nel catechismo di Stato, e che non vogliono proprio che i meschini calcoli elettorali di qualche leader in caduta libera scavino fossati sempre più grandi tra le diverse comunità religiose, generando conflitti e incomprensioni.
Ci sono già molte valide ragioni per non andare d'accordo: non è davvero il caso di aggiungerne di pretestuose.

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