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Puglia, sanità: il Pd e il patto Tedesco-Tarantini

Ecco le telefonate tra i figli dell’ex assessore e l’imprenditore al centro dell’inchiesta: il business sulle protesi e la guerra dentro il partito. L'indagine: il "sodalizio criminale" che avrebbe condizionato gli appalti

Puglia, sanità: il Pd e il patto Tedesco-Tarantini

Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

Pd sanitaria connection, atto secondo. Nel riferire delle intercettazioni fra i tanti presenti alla cena con Massimo D’Alema e il sindaco Michele Emiliano al ristorante la Pignata di Bari (cena pagata dal re delle protesi, Giampaolo Tarantini) su questo Giornale ieri abbiamo visto quanto l’ex assessore Alberto Tedesco - indagato e subito promosso dal Pd con un seggio al Senato - fosse seccato dalla buona riuscita della cena con i vertici della sanità pugliese e il lìder Massimo. Non sopportava quella liaison con l’esponente ex Ds e la filiera locale del partito attovagliata con i vertici della sanità pugliese e soprattutto con i Tarantini, che al telefono con un amico definisce «banditi nati che dovrebbero stare in galera e invece stanno ancora a piede libero». Banditi veri che, continua Tedesco, «fanno i fornitori che operano nel settore dei miei figli, che hanno utilizzato i metodi più delinquenziali del mondo, e fanno la cena con D’Alema!».

Nelle carte della Procura di Bari che fino ad oggi non avevano visto la luce spuntano però ulteriori telefonate che, per gli inquirenti, raccontano l’evoluzione dei rapporti tra le imprese della sanità riferibili comunque all’assessore alla Sanità e quelle dei fratelli Tarantini. Prima l’alleanza e, in seguito, la rottura del sodalizio. Di qua le società di Gianpi e Claudio, di là quelle dei figli dell’ex assessore nella giunta Vendola, in evidente conflitto d’interessi, almeno fino alle dimissioni forzate del febbraio del 2009.
Indicativa dell’iniziale simbiosi del business è un’intercettazione tra Giuseppe Tedesco, figlio dell’assessore oggi senatore, e Gianpi Tarantini, l’imprenditore delle escort a Palazzo Grazioli, in cui i due accennano a una «grana» in una Asl. Giuseppe: «Salvatore?». Gianpaolo: «Ue’, Giuseppe». Giuseppe: «Ehi, dimmi». Gianpaolo: «Dove stai?». Giuseppe: «In azienda, Gianpaolo (...)». Gianpaolo: «Senti Giuse’ vedi che ieri Canfora, allora ha fatto quella riunione con... Schiavone, Lippolis (...) hanno imposto i prezzi, hanno firmato tutti quanti una delibera dove i pre... allora ti dico, l’arto di ginocchio non deve costare più di 4.400 euro, l’anca 4.000 euro e l’endoprotesi 1.400 euro». Giuseppe: «Vabbe’ allora gli posso dare la protesi di Schiavone, me la faccio mandare?». Gianpaolo: «Sì sì, fattela mandare già subito». Giuseppe: «Eh, non puoi... io se devo, se devo...». Gianpaolo: «Aspetta già, ehm, hanno detto i primari nella delibera che se una protesi costa di più, tranne previa autorizzazione del direttore sanitario, direttore generale, il direttore (...). Hanno firmato questi che ne rispondono in prima persona i primari sul loro stipendio». Giuseppe: «Ma veramente?». Gianpaolo: «Ti giuro, proprio una delibera. Ne rispondono in prima persona i primari sul loro stipendio, ogni fine mese fanno i calcoli, se le protesi costano di più, verranno defalcate dai loro stipendi (...)». Giuseppe: «Quanto hanno detto di endoprotesi?». Gianpaolo: «Milleduecento euro». Giuseppe: «Quanto?». Gianpaolo: «Mille e due. Vabbe’ ma io gli do lo stelo, quello lì». Giuseppe: «Lo stelo... vabbe’ ma voglio dire ma... cioè, 1.200 euro è assurdo! E l’anca, quanto?». Gianpaolo: «Quattromila euro». Giuseppe: «L’anca si sono mantenuti alti, eh?». Gianpaolo: «Meno male oh! (...) Eh, ma pure il ginocchio eh? Il ginocchio 4.400 non è poco dai». Giuseppe: «Sono otto milioni e otto, cioè quanto, quanto lo paga Schiavone il ginocchio della Biomat. (...) Cioè dobbiamo dargli quello Gianpa', per mantenere gli stessi margini dobbiamo dargli quello, eh? (...)». Gianpaolo: «No, no, lo devi fare subito. Già ha detto che, per la protesi di ginocchio che sta impiantando oggi, quella tua, la track, ha detto... perché Canfora dice che ieri ha detto “Vabbe’, io domani devo impiantare una track”. Per quelle là è l’ultima, ma da domani...».
Nonostante i tetti di spesa, gli affari fra Tarantini e i figli dell’assessore alla Sanità vanno avanti spediti. Almeno fino a quando iniziano a scatenarsi i primi dissapori. Testimoniati da questa conversazione inedita, catturata il 5 febbraio, alle ore 13.19, quando il sistema che ha influenzato la Sanità pugliese era già in piedi. Al telefono ci sono sempre loro, Giuseppe Tedesco e Gianpaolo Tarantini. È l’inizio del grande freddo. Giuseppe: «Sappi solamente che a Tato Greco verrà fatto un discorso oggi pomeriggio notevole, notevole veramente. Poi ne avrai i risvolti, perché ieri l’ha aspettato mio padre (Alberto Tedesco, ndr) in consiglio regionale fino alle due, sta aspettando di parlargli oggi. In relazione gli dirà di quello che io ho fatto per voi e di come sono stato ricambiato». Gianpaolo: «Uhmm...». Giuseppe: «... gli farà un’esatta relazione, poi chiaramente voi siete una cosa sua, e chiaramente tanto di cappello a lui, però sappia che da adesso da mio padre non potrà più avere una virgola. Quindi si regolerà se voi verrete in culo a me, si regolerà di conseguenza Tato, pure lui...». Gianpaolo: «Giuseppe, scusa...». Giuseppe: «Scusami Gianpa’, è stato bello lavorare insieme, veramente, non sto scherzando». Gianpaolo: «No, Giuseppe, vedi che i casini li state combinando voi». Giuseppe: «Mi dispiace, Gianpaolo, mi dispiace». Come preannunciato in questa chiacchierata ai ferri corti, nella seconda telefonata ecco Alberto Tedesco e Salvatore «Tato» Greco (candidato alle prossime regionali con la lista di Fitto, ndr).

Alberto Tedesco: «Senti Tato, ti volevo parlare, lì c’è una situazione che sta diventando sempre più incresciosa tra i Tarantini e mio figlio». Tato Greco: «Chi i Tarantini? Claudio?». Tedesco: «Claudio and company». Greco: «Che è successo?». Tedesco: «E che è successo... insomma loro si stanno comportando in maniera poco corretta. Nel senso che adesso stanno rompendo le palle sui clienti, andando direttamente, hanno fatto scherzetti con alcuni listini eccetera eccetera». Greco: «Che cosa posso fare io, dimmi». Tedesco: «Eh, senti, o gli dici che, insomma, che ci vediamo...». Greco: «Con loro ho un rapporto di amicizia, posso...». Tedesco: «Eh, lo so, lo so». Greco: «... intercedere, non ho problemi». Tedesco: «Eventualmente quando torno ci vediamo e poi sai, stanno facendo muovere in maniera scomposta l’entourage di Mazzaracchio, che non credo si stia muovendo direttamente Mazzaracchio». Greco: «Eh, Albe’, io su quello non posso intercedere». Tedesco: «No, lo so, lo so, no. Vabbe’, voglio dire che poi gli andrò a parlare». Greco: «Senti Alberto, io sabato pomeriggio ho il congresso, fammi chiudere il congresso e ci vediamo con calma». Tedesco: «No, no, ma pure io sono fuori». Greco: «Ah, stai fuori?». Tedesco: «Se tu gli dici, nella settimana prossima, io tornerò martedì sera, se poi da mercoledì in poi ci vediamo prima un attimino io e te la mattina in Regione...». Da quella lite non si tornerà indietro. I rapporti tra le imprese di Tarantini e quelle dei Tedesco diventeranno di forte concorrenza.

Quella cena con D’Alema e i vertici del Pd locale è la riprova della rottura definitiva. Anche il dalemiano Sandro Frisullo, vice di Vendola, amico di Tarantini e in buoni rapporti col collega Tedesco (arrestato il 18 marzo) proverà a intervenire presso quest’ultimo per comporre la lite. Invano.

Quel che è successo poi, business a parte, è cronaca giudiziaria.

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