Pugno di ferro contro la rivolta Spari sulla folla e oltre 20 morti

È di almeno ventidue morti il bilancio complessivo delle vittime in Yemen al termine di un’altra giornata di scontri tra i manifestanti antigovernativi e le forze fedeli al regime. Dodici manifestanti, secondo quanto riferito da fonti mediche, sono rimasti uccisi a Sanaa dopo che la polizia ha aperto il fuoco sulla folla che chiedeva le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh.
A contribuire al clima di caos nel quale il Paese sembra precipitare dopo nove mesi di proteste contro il presidente Ali Abdallah Saleh, al potere da 33 anni, sono le azioni nel sud e nell’est dello Yemen dei miliziani di Al Qaida nella Penisola arabica. L’esportazione di gas dal terminale di Balhaf, sul Golfo di Aden, un’attività in cui ha una quota la compagnia francese Total, è stata interrotta e il personale è stato evacuato dopo un attacco compiuto con lanciarazzi contro il gasdotto che lo alimenta. L’azione sembra essere stata compiuta per rappresaglia contro tre raid aerei, apparentemente americani, in cui sette miliziani sono stati uccisi. Tra di loro, l’egiziano Ibrahim al Banna, responsabile mediatico dell’organizzazione, e un figlio di Anwar al Awlaki, un Imam americano-yemenita ispiratore di diversi attentati contro gli Usa, ucciso a sua volta il 30 settembre scorso in un raid aereo. Secondo diverse testimonianze gli incidenti avvenuti a Sanaa sono scoppiati quando decine di migliaia di oppositori sono partiti in corteo dalla Piazza del Cambiamento, dove godono della protezione delle truppe del generale dissidente Ali Mohsen al Ahmar, fratellastro del presidente Saleh, per spingersi verso il centro della capitale, controllato dalle forze governative.

Le forze di sicurezza li hanno attaccati lungo il Viale al Zubeiri, punto di contatto tra gli schieramenti delle due fazioni militari, e li hanno dispersi con l’uso di candelotti lacrimogeni, cannoni ad acqua ma anche a colpi d’arma da fuoco.

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