Listinto per le notizie - così si dice - è innato. Ma forse è solo una leggenda redazionale. È vero: nel giornalismo, come nel calcio, fuoriclasse si nasce. Ma buoni campioni si può diventare. Basta allenarsi. E lallenamento, nel caso specifico, non consiste - contrariamente a ciò che si crede - nello scrivere il più possibile. Ma nel leggere il più possibile. Anzi: nello studiare. Più studi, meglio scriverai e saprai argomentare le tue idee.
Più o meno su questa base teorica un secolo fa Joseph Pulitzer (1874-1911) - padre del giornalismo moderno e del celebre premio - fondò lidea della vita, anzi il suo sogno: costituire una Scuola di giornalismo allinterno della prestigiosa Columbia University di New York.
Quando Pulitzer, agli inizi del 900, rese pubblico il suo progetto, quello di insegnare a fare il giornalista (concetto che allepoca suonava come una bestemmia), gli diedero del pazzo e del «visionario». Fu allora che il «vecchio» cronista (uno che da direttore diede vita a memorabili campagne di denuncia della corruzione politica, e da editore trasformò piccoli giornali in testate di grande diffusione) prese carta e rabbia e scrisse una lunga lettera, pubblicata su The North American Review nel 1904, per spiegare perché una scuola di giornalismo avrebbe migliorato la professione e soprattutto come lavrebbe organizzata: quali materie insegnare, con quali programmi, con che tipo di professori, con quali obiettivi. Oggi quella «lezione» viene tradotta e pubblicata per la prima volta in Italia. Dimostrando - con la chiarezza, la semplicità e la forza di persuasione che sono lessenza stessa della scrittura giornalistica - tutta la modernità e la necessità di quella «folle» idea. Tanto «folle» da rendere sicuro Pulitzer che - ahinoi - «una repubblica integerrima sia legata a una stampa virtuosa».
Il libro di Joseph Pulitzer, Sul giornalismo (Bollati Boringhieri, pagg. 128, euro 10; postfazione di Mimmo Càndito) sarà presentato oggi alle 21 alla Casa della cultura, via Borgogna 3, a Milano. Interverranno Mimmo Càndito, Massimo Rebotti e Mario Cervi.
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