Quando la caricatura è un’arte «seria»

In mostra anche la produzione «americana» dell’artista tedesco che ha dovuto riparare a New York per sfuggire alla persecuzione nazista

L’ultima grande mostra in Italia di George Grosz (1893-1959) si tenne al Guggenheim di Venezia dieci anni fa, per Roma si deve risalire addirittura al ’71 al Goethe Institut, poi poco altro. La rassegna aperta all’Accademia di Francia fino al 15 luglio George Grosz Berlino-New York-Tra visioni e realtà: le opere teatrali e politiche, colma questa lacuna, ma puntando l’obiettivo sulla produzione politica su carta e sul lavoro per il teatro che al di là delle apparenze sembrano muovere su binari paralleli e complementari. Da un lato le meno indagate creazioni teatrali, dall’altro le opere impegnate a cui il pittore deve la sua fama, con una particolare attenzione agli anni giovanili in cui, in nuce e poi in modo palese, appaiono gli stessi temi dei famosi dipinti che la gente ha in mente pensando a Grosz. Figure disumane, marionette snodabili al posto di uomini, morti ammazzati che galleggiano sulle acque, borghesi filistei, preti, militari, insegnanti dalle gote paffute e i nasi a patata che vivono alle spalle del popolo, militari e capitalisti che governano al posto di politici senza testa. Opera di un artista controverso che vive il travagliato periodo della Grande Guerra, il fallimento della Repubblica di Weimar e l’ascesa del nazismo, schierandosi con i comunisti, deluso anche dalla società americana.
Curata da Ralph Jentsch, direttore della Fondazione Grosz di Monaco, che conserva il lascito dell’artista, presenta oltre 150 opere (dal 1907 alla morte), molte inedite per l’Italia, in gran parte disegni, acquerelli, caricature, illustrazioni e qualche olio. In mostra anche foto, libri, giornali, locandine e cataloghi che ripercorrono la parabola creativa dell’artista, dall’adesione al Dadaismo alla Nuova Oggettività, fino ai collage e ai fotomontaggi tipo Pop Art.
Nelle prime sale si rimane incantati dalla perizia, dalla fantasia e originalità del giovane disegnatore. All’inizio caricature di tono decorativo, scene fantastiche ispirate ai romanzi popolari, al mondo del circo, poi a rendere il suo tratto «tagliente come un coltello» saranno immagini truculente, legate alla tragedia della guerra, alla critica feroce e senza appello del potere, militare, economico e religioso. In mostra le prime litografie con un incredibile Ricordo di New York, la città idealizzata dove troverà asilo nel ’33 in fuga dalla Germania nazista.
I disegni teatrali ci fanno conoscere un altro Grosz, che negli anni Venti lavora alla sceneggiatura e ai costumi per Cesare e Cleopatra e Androclo e il leone di Shaw.

In alto in una sala tre marionette in gesso e stoffa per l’Orestea del ’19. Per Schwejk di Hasek al teatro berlinese di Erwin Piscator realizza, oltre le marionette, 300 disegni e acquerelli per un cartone animato e per le proiezioni sullo sfondo del palcoscenico durante la rappresentazione.

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