Cronaca locale

Quando la fine del mondo è una «Piramide»

Il regista e attore Arturo Cirillo fa rivivere la pièce scritta nel 1975 dall’argentino Copi

Matteo Failla

Stralunato, imprevedibile, talentuoso: impossibile affiancare un solo aggettivo alla figura di Copi, inutile, forse, ridursi a trovarne troppi da accostare ad una figura artistica che in realtà è passata alla storia semplicemente come unica e irripetibile.
Copi è noto al grande pubblico come disegnatore di fumetti, ma in realtà era anche un grande scrittore e drammaturgo, inquieto, uno di quelli che nelle proprie opere lascia sempre aleggiare tanti interrogativi, risolti i quali, altri ancora ne sorgono: ne è un esempio la pièce La piramide!, interpretata dallo stesso Copi nel 1975, e ora riportata in scena grazie al regista ed attore Arturo Cirillo, che sul palco del Crt-Teatro dell’arte offre nuova vita ad un testo presentato nella traduzione di Luca Coppola e Giancarlo Prati.
Ed è un’inesorabile cavalcata verso il successo quella che sta compiendo questo giovane regista napoletano, che si è già imposto all’attenzione del grande pubblico e della critica con due interessanti rappresentazioni che muovono i propri passi nel teatro comico: Mettiteve a fà l'ammore cu me! di Eduardo Scarpetta ed il più recente L’ereditiera di Annibale Ruccello, diretti ma anche interpretati dallo stesso Arturo Cirillo. Ora è giunto il momento di affrontare Copi, parte di un percorso che lo stesso regista riconosce legato da un filo conduttore.
«C'è un filo che, quasi inconsapevolmente - afferma Cirillo - si sta dipanando nelle mie scelte teatrali. Un percorso attraverso forme di comicità sempre più contemporanee, dove però il rapporto con un passato, più o meno mitico, permane. Quindi se Mettiteve a fà l’ammore cu me! era un testo ottocentesco trasportato nel Novecento, L’ereditiera era un testo contemporaneo travestito da Ottocento».
E ecco quindi che La piramide! si inserisce in un discorso teatrale che volge uno sguardo al futuro, pur facendo riferimento a ricorsi storici che sempre, nei testi dei grandi artisti, conservano una capacità di rimanere attuali nel corso degli anni.
La pièce di Copi è stata rappresentata in Italia una sola volta, ma non è certo un caso che ora venga riproposta proprio da un artista come Cirillo: il periodo che stiamo vivendo ed il sempre più crescente bisogno, da parte del «teatro giovane», di interrogarsi sul difficile momento storico che stiamo vivendo e sulle sue possibile evoluzioni, non possono certo essere argomenti estranei ad un artista attento come Cirillo.
«La Piramide è la fine di un mondo. Una terra di nessuno in cui si ritrovano una regina inca, una principessa inca, un gesuita, un topo, una vacca sacra, un turista. Interpreti di un atroce varietà, l’ultimo varietà possibile: quello della catastrofe. Copi ci racconta come il nostro mondo ha continuamente bisogno di uccidere altri mondi per continuare ad esistere. Un tempo bramosi d’oro, oggi di petrolio, annientiamo visioni della vita che crediamo primitive».


E se la caratteristica del teatro di Copi è proprio la ferocia che si insinua nel rapporto tra i protagonisti dell’opera, ma anche tra lo stesso Copi e le sue creature teatrali, in questo spettacolo non può che essere questa, assieme ad una felice ironia, a traghettare regista e pubblico verso quella visione teatrale che Cirillo descrive come «un luogo di sopravvissuti, com’è il teatro (o una piramide inca), un gruppo di attori, collaboratori e produttori vecchi e nuovi, che daranno vita a questa folle metafora del potere».

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