Quando l’università si trasforma in una galleria d’arte

L' operazione è piuttosto ardita: un po' come infilzare il dito medio di Cattelan (la scultura, beninteso) nel giardino di un chiostro dell'Università Cattolica, o come collocarlo in un angolo di quel Portico dove, nell'antica Atene ancora esente da speculazione finanziaria, insegnava lo stoico Zenone. Paragoni forse esagerati ma, di fatto, cosa c'entra l'arte contemporanea con quel luogo «eterno» di studio e raccoglimento che è l'Università?
Buona occasione per rispondere alla domanda potrebbe essere l'esposizione «IULM Open Air», che da oggi rimarrà visitabile fino al 30 luglio con orari che sono gli stessi dell'università, dal momento che tutte le opere sono collocate negli spazi all'aperto del campus, in particolare nelle piazze cosiddette «Dell'acqua» e «Diamante». Due gli artisti coinvolti: Helidon Xhixha, scultore albanese già ben affermato, nato a Durazzo nel 1970, e l'«esordiente» Paola Michela Mineo, classe 1978 e studi al Politecnico di Milano e di Atene. «L'arte contemporanea - ci spiega il rettore Giovanni Puglisi - non riusciremo mai a capirla se non viene collocata in una dimensione quotidiana e persino periferica, difficile, come poteva essere la Barona quando portammo qui lo IULM. Penso spesso a quel che ha fatto Ludovico Corrao con Gibellina, città terremotata, evacuata, sommersa di cemento epperò salvata dalle opere d'arte»".
Nel caso della mostra «OpenAir» si tratta di arte poco provocatoria e piuttosto meditativa. Xhixha è famoso per le sue sculture in acciao, materiale contemporaneo per eccellenza, già ospitate alla scorsa edizione del MiArt. «La provocazione - ci dice Xhixha - rimarrà per sempre soltanto provocazione, isolata in se stessa, e nient'altro. Per me l'importante era comunicare, invece. Soprattutto impressioni e sentimenti del nostro presente: cioè l'era dell'acciaio che riflette la luce senza oscurarla». Ancora più apollinea è Paola Mineo: i suoi calchi, ottenuti attraverso garze mediche pregessate, portano agli occhi ma anche agli altri sensi dello spettatore («Faccio touch-art, arte più percettiva che visiva» ci ha detto) tematiche senza tempo, ma con un occhio alla loro deriva attuale. Per esempio, l'interno della sua formosa Venere Paleolitica è ricoperto di immagini «anoressiche» di bellezza photoshoppizzata, mentre Amore contro ritrae un uomo e una donna molto lontani dalle estatiche posture di Canova, in equilibrio su una struttura di cuoio rosso imbullonata, entrambi alla ricerca di una possibile «ricucitura». Tutto all'insegna dell'equilibrio artistico: «Forse è perché - ci dice la Mineo - ho una formazione classica. Emozionare attraverso sentimenti positivi è molto più difficile e complesso che mediante la provocazione, davanti alla quale si ha la stessa reazione che si ha toccando il fuoco: uno shock iniziale e un successivo fastidiosissimo dolore. Credo di più nell'armonia».
A Milano, non è la prima volta che università e arte contemporanea si prendono a braccetto. Negli edifici della Bocconi, da quasi da un anno, si possono ammirare opere cedute all'ateneo in una sorta di «comodato espositivo» da gallerie, artisti, collezionisti: Kounellis, Pomodoro, Sol LeWitt, Arthur Duff, Peter Wegner e molti altri. «Il prossimo turn-over - ci spiega Severino Salvemini, presidente del Comitato che sceglie le opere - sarà alla fine di quest'anno. L'obiettivo è una rotazione di artisti ogni dodici, diciotto mesi. Li selezioniamo sulla base delle proposte che ci pervengono e dei suggerimenti dei membri del Comitato. Essendo la Bocconi uno spazio architettonico piuttosto minimalista, preferiamo opere non figurative, ma astratte, concettuali.

Se il Comune, per dire, ha la responsabilità di misurarsi con l'arte contemporanea, anche quella problematica, e di proporla ai cittadini, noi non abbiamo questi obiettivi pedagogici. La futura classe dirigente che formiamo è circondata da opere di gusto più tradizionale, direi quasi classico».

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