Quando Napolitano ministro dell’Interno esaltava le squillo da appartamento

RomaIl sexygate, confezionato dai giudici e propagandato dalla stampa, è un elemento di disturbo. Non solo per la vita politica di questo paese. Ma anche per quella dei comuni cittadini che dalla politica chiedono risposte e modelli comportamentali adeguati. Lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si mostra «consapevole del turbamento dell’opinione pubblica dinanzi alla contestazione, da parte della Procura di Milano al presidente del Consiglio, di gravi ipotesi di reato».
Per l’inquilino del Quirinale si tratta, però, di un turbamento nuovo. Affatto distante dalle intuizioni che maturò quando aveva la responsabilità del Viminale. Fece rumore, allora, un intero capitolo dell’annuale relazione sullo stato della criminalità organizzata. L’anno di riferimento era il ’96. La relazione invece venne resa pubblica a fine estate dell’anno successivo. Napolitano in quell’occasione non si limitò a dire quanti e quali erano i danni sociali provocati dallo sfruttamento della prostituzione. Andò oltre una mera analisi dello status quo. E avanzò delle proposte. Sia ben chiaro, erano solo idee. Meglio ancora, auspici molto generici. La sua relazione dedicava ben 59 pagine all’argomento, proponendo anche ai colleghi parlamentari un lungo e dotto prologo sulla storia del meretricio dalle origini ai giorni nostri. La gran parte del capitolo, però, era sul presente. Ed è lì che Napolitano è riuscito a spiazzare tutti. Il ministro dell’Interno giungeva infatti alla conclusione che le «squillo» che lavorano in casa rappresentano la forma «più evoluta» nel settore grazie alla loro «forte autonomia a livello decisionale e gestionale». Se la sua collega di partito Livia Turco presentando un progetto di legge definiva nel 2000 la prostituzione legalizzata come un «servizio sociale», Napolitano nella sua relazione del ’97 parlava di «riservatezza» e di «rispetto degli standard di convivenza civile» per quelle prostitute che scelgono di esercitare questa professione (questo servizio) nel chiuso delle proprie abitazioni con il massimo di discrezione. Certo, in questo modo era (e resta) difficile censire le operatrici del settore in questione.
Nel marzo del ’99, anche don Andrea Gallo, il sacerdote di frontiera che a Genova ha fondato una comunità di recupero per prostitute, si pronunciò in favore di una regolamentazione del settore.

«La prostituzione non piace ai moralisti - spiegava il prete - fa venire i pruriti a tanti cattolici, ma è antica quanto il mondo e non si può cancellare: allora per eliminare lo sfruttamento creiamo un eros center, quella che in termini tecnici si chiama zonizzazione».
L’importante è che tutto avvenga con discrezione e nel rispetto della dignità di tutti. Proprio come si augurava il futuro presidente della Repubblica.

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