Quando nel ’97 il Senatùr tuonava: «In piazza bisogna saper menare»

L’ira del leader lumbard dopo la visita di Scalfaro a Verona

Gianni Pennacchi

da Roma

Correva l’anno di grazia 1996. Ricordate? Il centrosinistra aveva vinto le elezioni e Romano Prodi s’era insediato al governo, sembrava intramontabile. Il centrodestra era allo sbando, ridotto a tre soli partiti in rottura furibonda con la Lega. Quest’ultima poi, appariva irrimediabilmente isolata, costretta all’angolo. Alle elezioni il Carroccio era andato da solo, contro il centrodestra col quale aveva consumato lo strappo sul finire del ’94, e contro il centrosinistra col quale aveva esaurito il rapporto già nei primi mesi di vita del governo Dini. Più che una scelta, quella di Umberto Bossi era stata una necessità: la Lega aveva subito il «tradimento» di Massimo D’Alema, che dopo averla blandita come «costola della sinistra» per strapparla all’alleanza con Silvio Berlusconi, l’aveva abbandonata repentinamente quando non serviva più. Troppo presto ancora per ricucire col Polo, troppo tardi ormai per intrecciare una qualche desistenza con l’Ulivo. E chi dovevano ringraziare i leghisti, per quel ruolo di corpo estraneo, nemici di tutto e di tutti, l’anti politica e l’anti democrazia? Proprio il pio Oscar, che dall’alto del Quirinale aveva pilotato prima la rottura dell’alleanza col Polo e la caduta del governo Berlusconi, poi il passaggio di governo e di sponda dell’ex ministro del Tesoro di Berlusconi nonchè l’idillio con la sinistra, infine l’abbandono come fossero un partito usa e getta. Più che a Botteghe Oscure, per Bossi l’odiato «traditore», il vero burattinaio, stava sul Colle.
A dispetto della solitudine e dell’isolamento, la Lega era riuscita ad eleggere 28 senatori e 58 deputati. Ma aveva dovuto accentuare le sue caratteristiche, contro la Roma «ladrona di sinistra e di destra» non le restava che esaltare la centralità padana. I partiti nazionali avevano rifiutato il federalismo? Il Carroccio rilanciava con l’ideale dell’indipendenza e della secessione, ecco l’ampolla alle sorgenti del Po, i gazebo per le elezioni del parlamento padano, l’insediamento dell’assemblea alternativa, addirittura un governo da rinfacciare a quello nazionale, le camicie verdi, i proclami sempre più gridati e accesi. Un’escalation di provocazioni: più il governo (di Prodi) e il Quirinale si stracciavan le vesti, più la Lega le sparava grosse. Quale scandalo, quando i gruppi di Camera e Senato ebbero l’ardire di proclamarsi «Lega Nord per l’indipendenza della Padania».
Quanto parlavano e tuonavano, i leghisti. Tutti, anche il mite Roberto Maroni. Il leader poi, era un vulcano inesauribile e stupefacente, un fiume inarrestabile di parole e di trovate. Oddio, quando a maggio del ’97 usciron fuori i Serenissimi a scalare il campanile di San Marco, il primo a dissociarsi, anzi a condannarli senza appello fu proprio Bossi. Più deciso e netto del Pci con le Bierre negli anni di piombo. Ma scherziamo? A parole si può far tutto, almeno in politica. E’ regola democratica che sia lecito qualunque messaggio e programma, ogni promessa, anche la più sconvolgente. Ma i fatti son ben altra cosa, e quelli messi in atto dai Serenissimi secondo Bossi non solo meritavano la condanna, erano una «provocazione» ai danni proprio della Lega. Nonostante quella «provocazione» però, Bossi e i leghisti continuavano a parlare, nelle riunioni di partito, nei comizi, al telefono. E il dottor Guido Papalia registrava.
Questi che seguono, sono stralci di intercettazioni giudiziarie che supportano la richiesta di rinvio a giudizio firmata dalla procura veronese.
È il 21 settembre ’97, due giorni dopo la visita del presidente Scalfaro a Verona, e Bossi non sembra soddisfatto della protesta inscenata dal Carroccio. Ne parla con Enzo Flego, responsabile delle Camicie verdi.
B= Bisogna essere determinati con... ba... solo se l’altro attacca bisogna... menare il più possibile.
F= Sì, sì.
B= Ma solo se l’altro attacca,... ma lì... quello che vedi tu girando in giro tra la gente... tra la gente che gravita attorno, non so se le varie difese (incomprensibile) la gente è pronta è determinata a dar batt... a rispondere?!
F= A la gente guarda.
B= No, no.
F= Eh?!
B= No la gente, la la le camicie verdi.
F= Noi siamo pronti, perché, però vedi è un fatto Umberto bisogna contarci in ultima, perché non puoi mettere trecento camicie verdi a far battaglia contro seicento poliziotti.
Ancora sulle manifestazioni contro Scalfaro, Bossi si sfoga al telefono il 30 settembre, sempre con Flego.
B= Tallonare Scalfaro sempre ovunque gestendo in maniera completamente diversa... non come ha fatto Calderoli che è un p... e si è diviso frangette... frangiotte... F si lamenta probabilmente per delle assenze ingiustificate e, di rimando, B= ...c’è il primo giorno della caccia, fan bene di andare a caccia, quel c... che ti sembra... In realtà è come sempre... ragionare no! Quando viene la guerra verranno, adesso non c’è la guerra... a un minimo di cose da fare no!
Sullo stesso argomento, lo stesso giorno, colloquio telefonico tra Bossi e Alberto Mazzonetto, «punto di riferimento dell’attività secessionista in Venezia.
B= Il problema, chi fa parte... chi va in piazza deve sapere che deve menare la mano.
M= Sì, certo questo è vero pure...
B= Però...se no sembrate dei poveracci voi là...
M= Mh.
B= Eh, la Lega dei poveracci deve finire insomma, ora la Lega è di chi ha coscienza del momento storico e ha determinazione.
M= Ecco ci manca l’organizzazione e il servizio d’ordine per essere pronti in piazza e bisogna che ci organizziamo...
B= Crealo... E ti rendi conto del ridicolo di aver fatto un movimento di gente che sta con le gambe sotto al tavolo no?
M= Ho capito...
B= Ho letto il tuo articoletto che avevi scritto sul giornale... secondo me era un errore completo, tutte le volte che viene Scalfaro va contestato, se no... che... che roba è...
M= Sì.
B= Eh!...voi siete di morso leggero, e quindi non tenete la preda... la preda va tenuta e come va tenuta... a prescindere dai sindacalisti che... a picchiare... magari, c...
B= Quindi... posizione... non si mollano mai gli avversari si tengono sempre... un morso po’... poi lo si tiene sempre l’avversario, e sembra uno che... lì il problema sai qual è che... questo qui... il problema bisogna che tutti i comuni... bisogna dirglielo alle famiglie di non mandare... quando viene Scalfaro di non mandare i figli lì... e dire che i figli vadano... vadano...
M= Sì, sì!
B= Vuoi che i bambini vadano tirando fuori la bandiera della Padania...
M= Mh! Mh!
B= Eh! Problema di fondo non... si tratta di... di... di... come Mussolini, non vedi?!
M= Esatto, sì! Di chiamare i bambini in piazza.
B= Il problema è un pezzo di m... improntare la gente del Nord...va bene che gavranno... tutti... che gavremo tutti il mitragliatore in mano... ma sarà una soddisfazione enorme portarmi all’altro mondo il più possibile di questa m... vivente... sono m... viventi, devono essere cancellate da... da... lì però il problema... anche la gente va indirizzata con chiarezza con fermezza.
Dal comizio tenuto il 14 settembre ’97 a Venezia da Maroni, «attualmente capo del governo della Padania». Trascrizione della Digos.
È giunto il momento di dichiarare chiusa la fase delle trattative... da oggi occorre passare dalle parole ai fatti... manca solo un ingrediente alla ricetta per la libertà, un parlamento libero e sovrano... il parlamento adotta la moneta e arma l’esercito... Nessuno!!! può opporsi alle decisioni di un parlamento liberamente eletto, né governi, né stati esteri, né magistrati di importazione... questo è il motivo che ha spinto il governo della Padania a indire le prime libere elezioni...

Con l’elezione del proprio parlamento libero e sovrano, la Padania ha finalmente la legittimazione istituzionale sufficiente e necessaria per far valere concretamente la propria sovranità nei confronti di chiunque, utilizzando ogni mezzo... ripeto ogni mezzo, consentito dalle norme del diritto internazionale...

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