Non è cosa da tutti i giorni cogliere un franco successo in unopera non certo facile come Die Frau ohne Schatten, nobile capolavoro nato dalla luminosa collaborazione fra Richard Strauss e Hugo von Hoffmannsthal. Così è stato per il maestro Marc Albrecht che, chiamato a sostituire un collega, ha diretto con autorità e risultati degni del massimo encomio. Fra laltro, Albrecht ha realizzato la cosa più difficile: mai sovrastare le voci, raccontando laffascinante fiaba della donna in cerca della maternità-ombra, con la fluida grandezza, ma non pesantezza, pensata dai suoi Autori. Il quintetto di magnifici cantanti principali ha facilitato il compito al maestro Albrecht. Cantanti-interpreti che non si sono risparmiati in alcuni dei più ardui ruoli del teatro di Strauss. Non è possibile fare distinzioni di merito: la palma spetta sia alla coppia imperiale (Emily Magee e Johan Botha) che a quella umanissima del Tintore e della moglie (Falk Struckmann e Elena Pankratova), senza dimenticare quanto prodigato da Michaela Schuster nella parte ostica della schizofrenica Nutrice, un mezzosoprano che ha «piantato» i suoi acuti come splendidi chiodi.
Il rilievo delle voci è merito dell'attenta concertazione di Albrecht e della «scatola scenica» che evitava la dispersione del prezioso materiale vocale nella nota acustica della Scala. Infatti, il regista Claus Guth, ha incassato la vicenda in una stanza lignea sinusoidale: una severa clinica dove tutto inizia e finisce come fosse il sogno dellImperatrice. Solo il centro del fondale ruotava, consentendo la tempistica mutazione dei luoghi in perfetto rapporto con la musica.
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