QUANTO ENZO HA AMATO «ZENA»

Il nostro primo viaggio fu a Genova. E in seguito ogni occasione era buona per tornarci. Scesi dal treno, si saliva sul taxi ed Enzo cominciava a parlare in dialetto, ricorrendo a volte anche ad argomenti ovvi, il caldo, il traffico, ma sempre con grande piacere. Sì, proprio come un buongustaio assapora il suo piatto preferito, lui gustava il suo genovese, lo condiva con gli accenti giusti e con i toni adeguati tanto da affascinare il suo interlocutore. E anche me, incantata dalla sua «ingordigia». Tanto che, a volte in casa - io, calabrese - mi divertivo a ripetere con una pronuncia improbabile qualche parolina dialettale ma il suo scherno e la sua severa «matita rossa» mi invitavano a desistere.
Tortora ha amato Genova, con il cuore e con la mente ed è giusto che oggi Genova lo ricambi dedicandogli un pezzetto, piccolo ma significativo, di se stessa.
Sono davvero lieta che una «briciola» di Zena porti il suo nome. Ne sono così lieta da rinunciare a dire «era ora», «finalmente», «tante altre città hanno già onorato la memoria di Tortora». Non lo dirò, così come eviterò di polemizzare con quanti hanno finora fatto ricorso a tristi mezzucci e addotto assurde giustificazioni per respingere le richieste di coloro che, compagni radicali o semplicemente genovesi, volevano che Enzo potesse essere ricordato nella sua città ma soprattutto che Genova volesse vantare (e serbarne il ricordo per le future generazioni) il natale di un uomo perbene. Poco importa se famoso e popolare, il ricordo da trasmettere a chi non ha conosciuto Tortora è proprio il suo limpido esempio di uomo libero, onesto, perbene che solo un sistema penale incancrenito e una magistratura proterva quanto irresponsabile potevano coinvolgere in una assurda vicenda giudiziaria.
Tortora fu arrestato il 17 giugno 1983 e la sua vicenda lo rese protagonista di una difficile battaglia per la giustizia giusta rivolta a risolvere non il suo processo ma il ben più grave «caso Italia».
Ma la ferita della sua vicenda fa ancora male a chi si batte per uno stato di diritto.

Sono passati venticinque anni dal suo arresto e venti dalla sua morte e nulla è stato fatto per correggere quelle storture che arrivano a «uccidere» psicologicamente prima che fisicamente un uomo, un cittadino onesto, ma che soprattutto distruggono lo stato di diritto. Nulla è cambiato da quel 17 giugno 1983. (...)
SEGUE A PAGINA 47

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