«Non siamo a Cuba, in Cina o nel Venezuela di Chávez ma tutto quel che fai riescono a fartelo pagare lo stesso». Lo ha detto l’altroieri Roberto Saviano al Salone del Libro di Torino. Il prezzo da «pagare», nel caso di Saviano, inseguito dalla camorra e costretto a vivere sotto scorta, è altissimo. (E se la frase si riferiva invece alle recenti polemiche col presidente del Consiglio, il prezzo da «pagare» è una legittima opinione critica).
Questo però non vale per tutti i sedicenti perseguitati e censurati ed epurati d’Italia, una vera legione, tutti convinti di vivere sotto una occhiuta dittatura ansiosa di vietare le loro operine o i loro filmini. Si atteggiano a personaggi scomodi, anche se hanno a disposizione canali della tivù nazionale e grandi editori.
«Non siamo a Cuba». Sarà il caso di dirlo a Serena Dandini, conduttrice su Rai Tre di Parla con me. La quale ha dato un duplice annuncio nel corso di un’intervista all’Unità. Primo: «Non ci pieghiamo alla censura». Secondo: «Programma confermato, da settembre proveremo anche qualche prima serata».
«Non siamo a Cuba». Sarà il caso di dirlo agli editori italiani che al Lingotto hanno firmato in massa un appello contro il disegno di legge sulle intercettazioni. Il provvedimento, come scritto più volte dal Giornale, è da perfezionare. Ma da qui al paventato «rischio di una grave limitazione della libertà di stampa, parte essenziale di uno Stato di diritto liberale e democratico» c’è una bella distanza. Un conto è evitare di colpire giornalisti ed editori, l’ultimo anello della catena dello sputtanamento, un altro sostenere che sia in pericolo lo «Stato di diritto liberale e democratico». E poi Stefano Mauri, a capo del gruppo Mauri Spagnol, motore dell’iniziativa con Giuseppe Laterza, si stupisce che Mondadori non abbia firmato. A proposito di appelli, non dimentichiamo quello lanciato da Repubblica al quale aderirono tonnellate di pensatori, giuristi, registi, autori da Franco Cordero ad Adriano Celentano passando per Nanni Moretti. Tutta gente che non trova pulpiti da cui predicare. Tutta gente convinta che le mancate risposte del premier alle dieci domande-fuffa di Repubblica sul Noemigate fossero la prova del tentativo «di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare l’opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni, in definitiva di fare del nostro Paese un’eccezione della democrazia». Lo firmò Roberto Saviano, anche se non siamo a Cuba e nemmeno in Cina.
«Non siamo a Cuba». Sarà il caso di dirlo a Marco Travaglio, firma del Fatto quotidiano, autore di successo, ospite fisso ad Annozero etc. etc. Secondo lui «il problema di questo Paese è che il potere si gioca non in televisione o sui giornali dove arriva solo quello che si può presentare di facciata ma nel fuoriscena, nel limbo dove tutte le transizioni, gli accordi con la mafia, gli omicidi, le nefandezze sono possibili».
«Non siamo a Cuba». Sarà il caso di dirlo a Sabina Guzzanti. Secondo la comica, il clima è ormai «eversivo», si respira aria «di colpo di Stato», i media sono «sotto controllo» e siamo il «Paese della censura». Il tutto mentre presenta al Festival di Cannes il film Draquila, critico col governo, e lanciato in prima serata su Rai Due.
«Non siamo a Cuba». Sarà il caso di dirlo a Umberto Eco. Il professore, firma di numerosi giornali e bestsellerista, in una recente intervista al giornale spagnolo El País ha denunciato la difficile situazione: «L’Italia di Berlusconi annuncia situazioni analoghe in molti altri Paesi europei: dove la democrazia entra in crisi, il potere finisce nelle mani di chi controlla i mezzi di comunicazione». Già che ci siamo qualcuno avvisi anche il collega di Eco, Alberto Asor Rosa, cattedratico, editorialista, ospite di tutti i festival culturali incluso l’ultimo Salone del Libro. A parer suo «il terzo governo Berlusconi rappresenta senza ombra di dubbio il punto più basso nella storia d’Italia dall’Unità in poi. Più del fascismo? Inclino a pensarlo».
«Non siamo a Cuba». Inutile dirlo a Dario Fo, il premio Nobel per la letteratura se n’è accorto con sgomento. Se è libero di dire ciò che gli pare (in teatro e in libreria) come fa ad atteggiarsi a intellettuale in lotta col potere? Qualche giorno fa ha buttato lì un auspicio: «Spero che il nostro amato presidente Berlusconi si decida a cacciarci, non solo dalla tivù, ma dall’Italia: via tutti».
Mentre i «presenzialisti censurati» vengono avvertiti che non siamo a Cuba, leggete la storia qui a fianco della blogger cubana Yoani Sánchez. Lei deve sfuggire alla repressione di Fidel Castro. Loro devono sfuggire al narcisismo che li obbliga a spararla sempre più grossa per essere al centro dell’attenzione.
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