Quei commerci esotici di «Seta» deprimono la Knightley e il pubblico

Dopo la noia musical-transatlantica de La leggenda del pianista sull'oceano di Giuseppe Tornatore, ecco la noia estetizzante-transcontinentale di Seta, coproduzione diretta dal canadese François Girard. Per le opere di Alessandro Baricco - se ne conclude - il cinema non è lo sbocco migliore. Oppure la loro pretenziosità va separata da sceneggiatori e registi che l'amplifichino, come se fossero convinti di quello che fanno.
Presentato alla Festa di Roma nei giorni scorsi, Seta racconta d'un borghese francese (Michael Pitt), che va tre volte in Giappone per importare bachi da seta per conto di un'industriale tessile (Alfredo Molina). Lo fa prima in treno, a cavallo e a piedi, perché siamo prima dell'apertura del canale di Suez. Ogni volta, dunque, un anno di viaggio. La seconda volta il giovanotto s'innamora non d'un baco, ma di una cinese. Intanto la moglie fedele e sterile (Keira Knightley) capisce, patisce, deperisce. Idem lo spettatore.
Si noti che la vicenda, ambientata fra 1861 e 1875, è raccontata con tanti dettagli che rimandano alla buona conoscenza della pittura del tempo.

Ma si conclude lasciando trasparire, dalla seta, la modesta conoscenza della storia del tempo: non c'è alcun cenno alla catastrofe francese nella guerra contro la Prussia del 1870-71.

SETA di François Girard (Usa/Italia/Giappone 2007), con Michael Pitt, Keira Knightley. 108 minuti

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