Quei Comuni dove la sinistra governa insieme alla camorra

Rapporto dell'Antimafia. Il Pd inneggia al moralismo ma in Campania una ventina di giunte rosse sono state sciolte per rapporti con la malavita. Soldi "facili" dalla Regioni, Errani senior lascia la Coop

Quei Comuni dove 
la sinistra governa 
insieme alla camorra

di Gian Marco Chiocci e Luca Rocca

Nella Campania del finto «Rinascimento» le relazioni pericolose tra la camorra e il Pd si concretizzano nei consigli comunali sciolti negli anni per infiltrazione mafiosa. La mappa geopolitica stilata dalla commissione parlamentare antimafia dei municipi campani «colpiti» da provvedimento di scioglimento, fotografa impietosamente la presenza capillare dei clan nelle giunte capeggiate da amministratori appartenenti a quello schieramento politico che si riempie la bocca di moralismo e riempie le pagine dei giornali e gli schermi tv inneggiando alla questione morale: il centrosinistra, appunto.
La realtà è ben diversa. I legami tra amministratori rossi e boss talvolta sono strettissimi. Sindaci che organizzano feste in onore del capoclan locale, giunte che «regalano» appalti ai parenti dei padrini, eletti che assumono amici dei camorristi, voti in cambio di cortesie. Il caso più recente è quello di Castello di Cisterna, sciolto l’estate scorsa per le presunte connivenze tra alcuni esponenti della maggioranza e i parenti di due boss della malavita. Un paio di mesi prima è toccato a Villa Literno, dove il clan dei casalesi è di casa. Poco tempo prima è il turno di Pago del Vallo Lauro, comune dell’Avellinese. Secondo la Dda di Napoli, l’abuso d’ufficio e il falso in atto pubblico erano stati commessi per agevolare il sodalizio criminale della «famiglia» dei Cava. E che dire di Marcianise, nel Casertano, dove gli amministratori vengono mandati a casa e dieci mesi dopo reintegrati dal Tar, che ribalta le conclusioni della commissione d’accesso sulle infiltrazioni camorristiche.
Pochi mesi dopo la scure del prefetto si abbatte su Orta di Atella a causa delle «forme di condizionamento» da parte della criminalità organizzata sull’amministrazione comunale. Più indietro nel tempo, spunta San Tammaro, ancora provincia di Caserta, sciolto per le «cointeressenze fra l’apparato burocratico ed esponenti malavitosi». Il capo staff del sindaco aveva stretto il «patto del mattone» con esponenti delle cosche locali. Nel Napoletano la giunta sospesa dall’incarico è quella di Afragola. Il sindaco viene accusato di aver deciso la realizzazione di un nuovo ospedale per «rivalutare» le aree di «un esponente apicale del clan camorristico dominante», quello dei Moccia. Per la partecipazione alle gare d’appalto non veniva nemmeno richiesta la certificazione antimafia. È più recente lo scioglimento del Comune di Arzano, nel Napoletano. Un anno e mezzo fa la giunta formata da Pd, Verdi e inizialmente anche da Idv e Udeur, viene mandata a casa dopo alcuni episodi che proverebbero la commistione fra alcune forze politiche e la camorra: il sindaco, Nicola De Mare, viene malmenato sotto casa; la moglie del presidente del consiglio comunale rimane ferita dall’esplosione di un pacco bomba; un consigliere comunale viene gambizzato.
Nel gennaio del 2006 tocca a Boscoreale, dove domina il clan Pesacane. Qui il Comune è accusato di non demolire manufatti abusivi dei congiunti di esponenti camorristici. Ciliegina sulla torta: contributi a favore di fantomatiche associazioni socio-culturali legate alla criminalità organizzata. Quattro mesi prima di Boscoreale viene sciolto il municipio rosso di Crispano. Lì a farla da padrone è il clan Cennamo. Negli atti ufficiali si parla di «fitta rete di frequentazioni e parentele di pubblici amministratori e dipendenti con soggetti gravitanti nell'ambito della criminalità organizzata». Addirittura durante la cosiddetta «festa dei gigli» del giugno 2004, viene esposto in pubblico un grande telo con l’effigie di Antonio Cennamo, esponente di spicco della camorra, in cui si legge: «Tutto questo è solo per te».
Il Comune di Melito di Napoli viene spazzato via nel dicembre del 2005. Il sindaco finisce in carcere per aver costituito un'associazione per delinquere allo scopo d’impedire il libero esercizio del voto da parte dei cittadini così da favorire un compagno di partito, poi eletto, a sua volta sottoposto a indagini per 416 bis. Stesso anno, stesso mese, viene sciolto Pozzuoli. Tra i dipendenti figurano pregiudicati per associazione per delinquere di tipo mafioso mentre le aree di vendita del mercato ittico vengono assegnate arbitrariamente anche a soggetti privi di requisiti antimafia. Un anno prima era toccato al Comune di Volla dopo che erano emersi rapporti tra amministratori e camorristi locali. Ancora una volta le concessioni edilizie venivano rilasciate violando le norme e per favorire soggetti indagati per associazione mafiosa.
A Montecorvino, sciolto nel novembre del 2003, il sindaco e un assessore finiscono dietro le sbarre con l’accusa di associazione mafiosa, mentre a Casoria, altro Comune del Napoletano colpito dallo stesso provvedimento nell’ottobre del 2005, alcuni dipendenti mantenevano rapporti assidui coi mafiosi del luogo e le licenze edilizie venivano concesse anche a esponenti della camorra. Andando più indietro nel tempo, anche il 2002 si rivela un anno «ricco». Il municipio di Frattamaggiore viene sciolto a causa di una «fitta e intricata rete di parentele, affinità, amicizie e frequentazioni che lega alcuni amministratori e dipendenti comunali a personaggi gravitanti nella sfera della criminalità organizzata» e anche perché gli appalti venivano affidati a «ditte di proprietà di soggetti con gravissimi precedenti penali o collegati a esponenti apicali di clan camorristico della zona».
Anche la mitica Pompei rientra nel calderone dei consigli comunali mandati a casa dal prefetto per la presenza pervasiva della camorra. Sempre nel 2002, infatti, si accerta che «un soggetto affiliato alla cosca locale e assiduo frequentatore di esponenti della maggioranza e di appartenenti al comando dei vigili urbani (...

) è l’anello di congiunzione tra clan e amministrazione». Infine, nel 2000, tocca all’ennesimo Comune «rosso», Pignataro Maggiore, dove alcuni amministratori avevano collegamenti, diretti o indiretti, con la Camorra Spa.

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