Quei deputati di Allah che sfidano la sharia

I parlamentari musulmani in Europa sono 38, giovani, quasi tutte donne. E odiati a morte dagli imam

Massimo M. Veronese

Sono un pugno di eletti, quasi tutti giovani, più della metà donne. Combattono sul confine dello scontro di civiltà, in una terra di nessuno, circondati da nemici. Tony Blair si fida di loro: «Solo ragazzi così, l’Islam sano, possono sconfiggere l’estremismo». Ma un po’ solo si sente pure lui. I parlamentari musulmani dell’Unione sono poco meno di una quarantina, oltre alla decina che siede all’Europarlamento. Hanno infilato una strada che non promette ritorno e che non si sa se li porterà nel prossimo secolo o in quello passato. Fanno parte di quei venti milioni di musulmani che abitano l’Europa, ma non li rappresentano quasi mai. Qualcuno si è arreso e ha preferito cercare altri orizzonti. Come Ayaan Hirsi-Ali, 37 anni e una vita piena di ferite. Di origini somale, bellissima, sceneggiatrice di Submission, il film costato la vita a Theo Van Gogh, era deputata liberale del Parlamento olandese, paladina dei diritti delle donne musulmane. Una fatwa a morte l’ha costretta per mesi a vivere sotto protezione: cambiava casa ogni settimana, non aveva più vita, amici, sorrisi. Ha detto basta. Da un mese si è trasferita a Washington, continuerà la sua battaglia con l’American Enterprise Institute, centro studi vicino all’amministrazione Bush. Ha ripudiato l’Islam «ma non le mie idee».
Il suo posto in Europa l’ha preso Nyamko Sabuni, 37 anni, liberale, viene dal Burundi ed è già arrivata lontanissimo: ministro per l’Integrazione e le Pari Opportunità. All’integralismo che, attraverso la più grande organizzazione islamica di Svezia, ha chiesto leggi separate per i musulmani, non fa sconti: vietati i matrimoni combinati, niente fondi pubblici per le scuole islamiche, obbligo per i nuovi immigrati di imparare la lingua e trovarsi un lavoro, controllo su tutte le ragazzine per verificare se siano state vittima di infibulazione genitale, messa al bando del niqab islamico: «Nel Corano non è scritto da nessuna parte che una bambina debba indossare il velo». Tanto per cambiare l’hanno minacciata di morte: «Ma io non sono il tipo che si fa mettere a tacere».
Anche Ekin Deligoz, 35 anni, deputata dei Verdi tedeschi di origine turca, sguardo gentile e sorriso luminoso, ha subito lo stesso trattamento. In un’intervista alla Bild am Sonntag ha detto che il velo islamico non è nient’altro che «un simbolo di oppressione» e invitato le ragazze musulmane ad andare in giro senza. Le stesse parole usate dalla socialdemocratica Lale Akgun: «Il velo è un simbolo di sottomissione femminile, discrimina e ostacola l’integrazione». È bastato aprire bocca. Ekin è stata subito aggredita dai giornali turchi e casa sua è diventata un inferno: «Sono stata insultata, per posta, telefono e di persona: e quasi sempre da uomini turchi».
Non tutti gli uomini. Il laburista inglese Shahid Malik, 38 anni, origini pakistane, parla come Oriana Fallaci: «Chi vuole la sharia può anche tornarsene a vivere in Arabia Saudita». E tanto per non essere frainteso. «Che le leggi di un Paese piacciano o non piacciano, vanno accettate. E nessuna società può tollerare chi non rispetta i valori democratici». Malik viene dalla circoscrizione di Dewsbury, quella da dove è partito Mohammed Sidique Khan per mettere le bombe sui metrò di Londra. E non ha paura: «La vera battaglia è quella delle idee non quella delle pallottole». Mansour Kamardine invece, 47 anni, avvocato, unico deputato islamico uomo di Francia, ha fatto passare all’Assemblea nazionale un testo che ha abolito la poligamia e il ripudio della moglie, nelle Comore, isole francesi dove nove abitanti su dieci sono musulmani. Gli integralisti gliel’hanno giurata: «È un falso musulmano». E lui: «Rispetto il Ramadan, frequento la moschea, ma la religione deve restare una questione privata. Io sono musulmano sempre tranne quando faccio il deputato».
Naser Khader invece si è fermato. Quarantatrè anni, socialista, siriano di Damasco, nemico giurato degli imam integralisti di Danimarca. Uno di loro, Ahmed Akkari, lo ha minacciato di morte in diretta tv: «Se Khader diventerà ministro per l'Integrazione, che ne dite di mandargli un paio di persone a farlo saltare in aria?». Vive scortato per difendersi dai fratelli.

Ma ora dice: «Dopo mesi di pressione sento il bisogno di prendermi un po’ di tempo per stare in famiglia». Come dire: scusate, niente politica per un po’. Nella terra di nessuno il nemico peggiore a volte si nasconde dentro di te.

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