Quei dieci cinema a Sampierdarena

Quei dieci cinema a Sampierdarena

Il caso ha voluto che terminassi la lettura del libro di Claudio G. Fava e Mario Paternostro, Dialoghi sui Minimi Sistemi, Ed. De Ferrari, Genova 2008, proprio in coincidenza con la morte del regista Dino Risi, avvenuta sabato 7 giugno. Per cui se il libro (che trattando di Cinema) mi aveva fatto rivangare - per suo conto - non pochi scorci, su presunti miei entusiasmi ideali, di un tempo - adesso - con l’aggiunta di quest’altra lettura, quasi obbligata, di quotidiani che del «maestro» tratteggiavano il suo percorso critico filmistico, non ho potuto che rimanere sopraffatto da un’onda di emotività. Di Risi ho subito rammentato, tra le sue decine di film, «Una vita difficile» (1961) dove il soggetto, affronta, meglio di un libro di storia, le avventure esistenziali di un italiano qualunque. Prima è partigiano, poi, è giornalista ed infine, in cui consuma la delusione di un generazione, è portaborse di un politico.
Il Cinema. Per il grande Sergei M. Eisenstein rappresentava, non a torto, «L’Ottava arte»... E viene trascurato di dire, inoltre, che il Cinema ebbe nella formazione dei militanti del Pci (di cui ho appartenuto) un ruolo determinante. Specie, qui, a Genova. In ogni delegazione (o periferia che fosse) della città erano disponibili molte sale e sempre in funzione. A Sampierdarena, poi, dove sono nato e vissuto, c’erano dieci sale cinematografiche, comprese quella del «Don Bosco» e quella Parrocchiale della «Cella», gestita da don «Berto». Da noi arrivavano le seconde e le terze visioni. Le «prime» avevano luogo nelle sale di via XX Settembre. Per tanto alla sera, quando non si facevano riunioni politiche, o si leggeva un libro, oppure, quasi sempre, sino alla fine degli anni ’70, si andava al Cinema.
Allora, si aveva la possibilità di scelta. Il prezzo era modico e si poteva entrare in ogni momento, anche a pellicola incominciata. L’atmosfera della sala buia, tagliata da un fascio di luce, avvinceva. Ci si faceva avvolgere dalla penombra. Dall’alternanza dei silenzi. Dai suoni. Il film, si sa, trasmette emozioni, coinvolge lo spettatore e lo rende partecipe di una illusione. Un soggetto cinematografico può rapire al punto da farci intravedere nell’animo dei protagonisti. La macchina da presa è come un microscopio, un mezzo di penetrazione indiscreto che va al di là degli occhi. Scruta nell’intimo.
Quei luoghi erano come dei templi. Incoscienti, non si badava molto all’aria viziata resa irrespirabile dalle sigarette fumate senza riguardi. Senza divieti. Consideravamo i film essenziali alla nostra cultura. Già la tecnica del film, per se stessa, escludeva l’individualismo. E per noi era una posizione di significato politico. Si sapeva che il film non poteva mai essere l’espressione di una singola personalità, come accade per le altre manifestazioni artistiche. Vi prendono parte: il soggettista, il regista, l’operatore, lo scenografo, l’attore, il produttore, ecc. Per questi contenuti che si privilegiava il Cinema. Sarebbero stati presupposti in coerenza con le idee in cui si credeva.
Il volume in questione, Dialoghi sui Minimi Sistemi, per quel susseguirsi di argomenti cinematografici di vero interesse e di piacevoli curiosità, ritengo abbia avuto il merito di farmi ripassare - ho avuto modo di dire - come eravamo. O, perlomeno, su cosa, una parte di noi, credeva.
Il capitolo dedicato all’Avanspettacolo ha spunti di autentica sensibilità. Si afferma che l’unico superstite, oggi, rimasto, che sull’argomento può dire la sua, è Lino Banfi. Purtroppo, è vero. L’Avanspettacolo sopravvisse, sino alla metà degli anni ’60. Le diverse compagnie si esibivano al sabato e alla domenica con incluso un film. E prima ancora di raggiungere notorietà, i vari Dapporto, Maccario, Tognazzi ed altri, si cimentarono al «Massimo» di Sampierdarena.
Del libro sono rimasto, di un solo aspetto, un poco stupito.
Avrei pensato che l’occasione sarebbe stata opportuna di menzionare, dato che Genova nei vari argomenti è citata più volte, dell’operato compiuto in termini cinematografici, dal gesuita Padre Angelo Arpa.
Anche se si tratta - sono consapevole - di una raccolta di «elzeviri» raccontati, tra l’altro, in precedenza alla Tv di Primocanale di un dialogo, appunto, tra i due autori e quindi non opera organica - comunque - avrei immaginato che un richiamo a questo sacerdote non avrebbe stonato. Anzi! E sono più che certo che Fava e Paternostro lo abbiano conosciuto e frequentato.
Io non ricordo più chi mi avesse indicato quella sua iniziativa che consisteva di proiettare alla domenica mattina, nella sala dell’Orfeo, film di valore contenutistico.

Egli introduceva e dopo la proiezione stimolava il dibattito e ne traeva, poi, delle conclusioni da vero esperto.
Peccato, per questa dimenticanza. Sarebbe stata occasione di ricordare un protagonista culturale, che aveva tentato di sprovincializzare Genova, già negli anni ’60, per mezzo del Cinema, da più ortodossie.

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