Quei furbi che fanno i rifugiati a vita

MilanoPer i professionisti dell’asilo politico l’«affare» sta per finire. Milano ne sa qualcosa, visto che per due settimane decine di «rifugiati» hanno tenuto sotto scacco la città dietro la regia - neanche tanto occulta - di disobbedienti e centri sociali, oltre che di un gruppetto di agitatori. Ma la Commissione nazionale per il Diritto d’asilo sta per dare uno «stop»: revoca del diritto d’asilo per i primi quattro.
Gli immigrati di questa storia sono in gran parte eritrei. Alcuni hanno già da anni lo status giuridico di rifugiati. Perseguitati individualmente da un regime, o vittime di un Paese in guerra, dice il diritto internazionale. E per alcuni sarà così. Non per tutti però. Perché quando si va a vedere davvero questa storia tutto si complica, o meglio si chiarisce. A quanto pare, alcuni di questi rifugiati pensano di usare l’asilo politico. Non per avere diritti analoghi a quelli degli italiani. Ma per pretendere cose che un normale cittadino non si sognerebbe nemmeno: una casa «chiavi in mano, mentre 17mila milanesi aspettano», sintetizza il vicesindaco Riccardo De Corato, o un sussidio senza lavorare. Vita natural durante. Quando per definizione lo status di rifugiato può cessare. Per esempio se cambiano le condizioni politiche del Paese d’origine. E qui si tratta a volte di persone che sono in Italia da 5-6 anni.
Il primo atto di quella che ha tutta l’aria di una sceneggiata, piuttosto che di una tragedia, va in scena il 17 aprile, quando duecento immigrati dai paesi del Corno d’Africa occupano un residence dell’hinterland milanese. Quelli che non hanno asilo politico lo chiedono. Ma la gran parte di loro non ha neanche un documento. La polizia procede a un censimento.
Però cominciano i contatti degli immigrati con autonomi e centri sociali. E si passa agli scontri con le forze dell’ordine. Intanto i rifugiati «milanesi» rifiutano l’ospitalità del Comune. Ai colloqui di lavoro non se ne presenta neanche uno. Snobbano corsi di italiano e borse di studio. In pratica rigettano ogni opportunità di inserimento. Tanto che il Comune deve ammettere che «intendono lo status di rifugiato come una sorta di passe-partout» - come sbotta De Corato. O che rifiutano le opportunità perché forse «trovano vie di guadagno più facile», come si rammarica l’assessore al Sociale Mariolina Moioli. E poi ancora non accettano l’accoglienza nei dormitori. Le considerano «prigioni». E dormono all’aperto. Una cinquantina ogni notte, la piazza come toilette. Gli altri chissà dove.
Soprattutto molti di loro «eccedono nella protesta». Ieri dunque è arrivata la svolta: la questura ha notificato ai quattro di loro l’invito a presentarsi davanti alla Commissione nazionale a Roma, e l’avvio del procedimento di revoca dello status di rifugiati. Sarebbe questo a fondare l’iter della revoca: occupare le strade e i binari, scontrarsi con le forze dell’ordine. Sono tutti comportamenti considerati «incompatibili» con una condizione di asilo o di protezione umanitaria.

I quattro convocati a Roma avrebbero partecipato a rivolte simili scoppiate a Rieti, o Prato, o in altre città. Ma ci sarebbe un vero e proprio «zoccolo duro» che da 5-6 anni vaga per la città, o fra le città. Intanto il Comune spende 8 milioni l’anno per i quasi 500 rifugiati della città.

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