Gianfranco Fini e il suo partito hanno un grande avvenire dietro le spalle. Mentre Futuro e libertà si disintegra, senatore dopo senatore, deputato dopo deputato, è inevitabile pensare alle raffinate analisi di politologi e commentatori. I quali, dopo aver guardato nella sfera di cristallo, avevano annunciato al volgo: il domani appartiene al presidente della Camera. Concordi le analisi. Secondo Eugenio Scalfari, Fini stabiliva «un importante passo avanti per il nostro Paese e la fine dell’anomalia berlusconiana». Massimo Cacciari elogiava il superamento degli steccati e sentenziava: «Il Pdl non sta in piedi, per questo guardo a Fini». Anche Pierluigi Battista, di solito prudente, si sbilanciava: dopo aver sottolineato «il drammatico errore di Berlusconi», sottolineava come «il partito che Fini ha fatto nascere a Perugia» apparisse «invece come una forza politica vera, proiezione di un’anima autentica del centrodestra italiano ».
Insomma, solo l’ex leader di An, affiancato dai cervelloni di Farefuturo, aveva la ricetta giusta per un’altra destra: responsabile, libertaria, moderna, aperta al dialogo. Soprattutto antiberlusconiana. Di fronte a quest’ultimo dettaglio, i giornali nemici, come Repubblica , di punto in bianco divennero amici. A lungo anche il Corriere della Sera e il Sole-24 ore strizzarono l’occhio con simpatia. Accorsero professori, registi, cinematografari dell’altra sponda politica: da Giulio Giorello a Giacomo Marramao passando per Moni Ovadia.
La Rcs libri, guidata da Paolo Mieli, pubblicò il manifesto-Il futuro della libertà firmato da Gianfranco Fini.
Poi venne il Terzo Polo e fu subito descritto dagli «esperti» come la casa degli autentici moderati. I guru dei sondaggi, a canali unificati, diedero la lieta novella: l’alleanza tra Fini, Casini e Rutelli era destinata a erodere il bacino elettorale della maggioranza. In costante crescita il consenso: 13 per cento, 18 per cento, 22 per cento a Ballarò nel novembre 2010. Gradimento personale per Fini alle stelle.
Un entusiasmo popolare di cui non si è vista traccia nel recente congresso di Futuro e Libertà celebrato a Milano. Già. Perché nel frattempo, senza chiedere il permesso ai politologi, il progetto ha mostrato la sua vera faccia. I paroloni spesi nei mesi passati si sono rivelati sproporzionati rispetto all’offerta politica, riassumibile quasi unicamente nel giustizialismo manettaro (che dovrebbe fare orrore a chi si proclama libertario, sia a destra sia a sinistra).
In quanto al pluralismo del nuovo schieramento, quando lo storico Alessandro Campi e la politologa Sofia Ventura hanno osato esprimere dissenso per la linea del partito, o meglio per la sua assenza, sono stati zittiti da Farefuturo. Le contraddizioni di Futuro e libertà sono esplose. Che senso ha un partito in cui dovrebbero convivere liberali (pochi) e statalisti (molti), superlaici e cattolici? Nessuno. Che successo può avere un partito di destra che fa la guerra a un governo amico e cerca sponda a sinistra? Nessuno.
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