Quei "luministi" guidati dal faro di Caravaggio

Fra Sei e Settecento, Paolini, Ricchi, Lombardi e altri autori teatralizzarono le idee del genio

Quei "luministi" guidati dal faro di Caravaggio

Apre l'8 dicembre a Lucca, alla Cavallerizza, la grande mostra «I pittori della luce da Caravaggio a Paolini» che documenta l'improvviso diffondersi, dopo l'arrivo di Caravaggio a Roma, di ricerche su temi di vita quotidiana, di illuminazioni a luce artificiale, effetti sorprendenti di chiaroscuri, quando non di «notturni». Fra i primi a muoversi in questa direzione saranno lo spagnolo Jusepe de Ribera e il francese Valentin de Boulogne. E anche Artemisia Gentileschi, nelle sue opere più cruente, non si sottrarrà a questa spettacolare tendenza. Ma sono tre artisti lucchesi a elaborare in modo intensivo questa visione, sperimentando effetti speciali: Pietro Paolini, Pietro Ricchi e Giovanni Domenico Lombardi. Tre «luministi».

La complessa esperienza di Pietro Paolini (1603-81), è condivisa anche con effetti più scenografici da Mattia Preti. Giustamente per Paolini Nikita di Vernejoul parla di «commedia dell'arte». Il pittore non dipinge la realtà, ma mette in scena episodi di interpretazione attoriale dei Bari e della Buona ventura di Caravaggio. Puro teatro è anche il Ritratto di famiglia, inscenato nella bottega dell'artista, con l'autoritratto del pittore che esibisce un suo dipinto indicato dalla madre perché l'artista che lo fronteggia (il fratello?) ne derivi un'incisione. Ed è in questa chiave che si misura la peculiarità di Paolini, e si determinerà una scuola o un atteggiamento locale, che si ritrova nei dipinti arcaizzanti, nei soggetti di genere, di Giovanni Domenico Lombardi (1682-1751). Un interessante caso di revival ravvicinato, nel tentativo di conservazione di un'aura seicentesca fuori tempo massimo, anche per lo stesso pittore, se si confronta con la sua produzione religiosa in pale d'altare come il Martirio dei santi Giovanni e Paolo e il Martirio di San Romano. Le sperimentazioni luministiche consumate dai caravaggeschi a Roma con le prove di de Ribera, Cecco del Caravaggio, Gentileschi, Borgianni, Saraceni, hanno il loro approdo nella Manfrediana Methodus che vede il suo interprete più autorevole in Valentin de Boulogne (1591-1632), nei soggetti di vita di strada che moltiplicano le opere del primo tempo di Caravaggio tra i Bari e la Buona ventura.

Caravaggio

Paolini nel suo soggiorno romano si muove in questo ambito e ne trasferisce l'atmosfera e le capricciose invenzioni a Lucca. Lo ha stabilito in modo impeccabile la de Vernejoul, scrivendo: «Valentin de Boulogne è l'artista a cui Paolini si avvicina di più, stilisticamente e concettualmente. Si saranno incrociati per strada, in botteghe di pittori o in case di mercanti d'arte. Paolini adotta l'inquadratura serrata che concentra l'attenzione sull'essenziale, i volumi pieni delle figure ritagliate, la pennellata grassa e l'illuminazione laterale che stacca i volti dallo sfondo». Lo misuriamo anche nell'inedito Pitagora, or ora apparso in un'asta a Londra. Nella sua lettura delle opere dell'artista, soffermandosi sul personaggio inquietante all'estrema sinistra del dipinto I bari con cinque personaggi, la studiosa aggiunge osservazioni che spiegano l'insistente riferimento di Paolini a Caroselli: «Fin dall'inizio Paolini introduce delle bizzarrie nei suoi dipinti. Gli errori nelle proporzioni dei personaggi, le distorsioni delle prospettive e gli oggetti in bilico, non possono essere ascritti solo alla giovinezza del pittore, ma testimoniano anche un desiderio consapevole di introdurre dubbio e turbamento».

Caravaggio

Questa idea di una pittura che non è una presa diretta sulla realtà ma la ripresa di una rappresentazione teatrale, di una recita, è molto convincente. Lo indicano i gesti delle dita, alla bocca del perplesso innamorato, allo specchio del giovane e divertito complice, nella Buona ventura. Anche per il Concerto bacchico, siamo evidentemente davanti a una rappresentazione. La de Vernejoul parla appropriatamente di «tableau vivant». Il concerto in costume contemporaneo è guidato da un giovane Bacco, una donna suona il liuto, gli altri cantano, e intanto la giovane donna di spalle con un liuto a tracollo si allontana dal gruppo, leggendo o cantando, fuori scena. Le composizioni di Paolini sembrano nascondere un rebus. Anche la cosiddetta Età della vita declina il caravaggismo in una chiave nuova, con la citazione esplicita del vaso di fiori che viene dal Caravaggio del primo tempo. L'atmosfera, come d'abitudine, è notturna, con una luce strisciante che dà volume alla figura del vecchio e della ragazza vanitosa. Escluderei che il soggetto corrisponda al titolo convenzionale. Paolini non è mai allegorico o didascalico. Non si può escludere che, per arrivare a risultati così sofisticati, sotto il dominio di luci radenti, Paolini abbia valutato l'esperienza di un altro provinciale a Roma, documentato presso Marcantonio Borghese, cugino di Scipione, tra 1615 e 1618: Giovanni Francesco Guerrieri, detto il Fossombrone. Per composizioni e combinazioni sono evidenti le affinità tra opere come le allegorie di Paolini, l'Ercole e Onfale di Guerrieri, Il giovane uomo al bivio tra virtù e vizio di Angelo Caroselli. Su queste convergenze e equivoci si sono misurati Marta Rossetti e, specificamente, Giovanni Papi nel saggio Un dipinto di Giovanni Francesco Guerrieri e uno di Caroselli scambiato per Guerrieri. Allo stesso modo, in bilico tra Caroselli e Paolini, è il Ritratto di giovane con una maschera in mano.

Al rientro a Lucca le scene di genere lasceranno spazio a soggetti sacri di ascendenza neocaravaggesca con espliciti riferimenti a Van Baburen e a Carlo Saraceni. Al 1630 vanno riferiti il Martiro di San Bartolomeo e il Martirio di San Ponziano e il potente San Rocco della chiesa dell'Addolorata di Lupinaia, con il pensoso cane. È questo il momento di rimeditare su Gherardo delle Notti e Trophime Bigot, in dipinti come il Ritratto d'uomo che scrive al lume di una lucerna, ora a New York, e il Ritratto virile già in collezione Marchesi. E se si avverte una trasformazione dei soggetti di genere verso una pittura più morbida nel Ritratto allegorico di donna della collezione Koelliker e nell'Allegoria della vista e del tatto degli anni Trenta, capolavori di durevole invenzione appaiono La lezione di astronomia, l'Allegoria della vita e della morte di Palazzo Mansi e l'Allegoria della morte di Palazzo Cerralbo di Madrid.

Al culmine di questo percorso vanno la Madonna del Rosario con San Domenico e Santa Caterina, il Martirio di Sant'Andrea in San Michele in Foro a Lucca e l'Eccidio degli ufficiali del generale Wallenstein (Lucca, Palazzo Orsetti), commissionato insieme a una perduta Uccisione del generale Wallenstein dai Diodati, precedenti proprietari di palazzo Orsetti, a ridosso del complotto che il 5 febbraio 1634 portò all'uccisione di Albrecht von Wallenstein in cui era coinvolto anche Giulio Diodati. Si tratta del più straordinario telero, scenografico e rembrandtiano, quasi una Ronda di notte a Lucca. Un tumulto, un temporale, una storia di violenza. Il pittore da stanza, con molte variazioni su temi musicali, come nel Concerto a cinque figure della collezione Micheli o nel Mondone che suona il liuto con Cupido in attesa, lascia spazio a un artista diverso, ma ancora riconoscibile, che si afferma nei soggetti devozionali, in capolavori intensi e drammatici come i santi Carlo Borromeo e Felice da Cantalice nell'Adorazione del Santissimo Sacramento nella chiesa di Sant'Andrea a Gattaiola.

Difficile poi capire, nella produzione della maturità, come Paolini, già intorno alla metà del secolo, possa trasformarsi in un pittore di gusto neoveneto (se non neomelodico!), dipingendo la pala d'altare già Massarosa, ora in Fondazione Cavallini-Sgarbi. Caravaggio è dimenticato per Paolo Veronese, proiettandosi Paolini verso Pietro da Cortona, nell'ampio panneggiare della veste di Santa Caterina e nel rilievo antico sullo sfondo, e aprendo la strada alle contrite opere devozionali di Girolamo Scaglia e alle scenografie luminose di Giovanni Coli e Filippo Gherardi.

Un fenomeno curioso di approfondimento teatrale e virtuosistico dei dipinti di genere di Paolini, certamente tenuto come riferimento, con l'insistente riferimento al lume artificiale come unica fonte di luce, in cupi notturni, è nell'opera di Pietro Ricchi (1606-75). La leggenda è quella di un artista che «non meno sapea maneggiar la spada che i pennelli».

Anche nel caso di Ricchi la lezione di Paolini, virata in effetti speciali, deriva da uno spunto caravaggesco riconosciuto dal Baldinucci, tutto giocato sulla luce di candele, a partire dalla fiaccola delle Sette Opere di Misericordia di Caravaggio, attraverso il modello di Trophime Bigot e appoggiandosi, infine, al maestro lucchese, come si vede nella Giuditta con la testa di Oloferne del Castello del Buonconsiglio di Trento. Con Ricchi, già verso il 1660, la pittura di luce si spegne, e la lunga notte densa, intensa e misteriosa - vera - di Paolini finisce nei fuochi d'artificio.

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