Quei magnifici Giustiniani

Nuove ricerche sui munifici mecenati di Caravaggio

Ricordati tra i maggiori collezionisti di Caravaggio, i Giustiniani sono adesso personalmente alla ribalta. Dopo la mostra del 2001, intitolata «Caravaggio e i Giustiniani», la grande famiglia di collezionisti romani è la protagonista di tre ricchi volumi (La collezione Giustiniani. Documenti, Einaudi). L’autrice è Silvia Danesi Squarzinache che, con un gruppo di studiosi, ha riunito dagli archivi romani una grande quantità di documenti (lettere, biografie, inventari, scritti d'epoca), molti inediti, in grado di ricostruire le vicende dei singoli personaggi lungo un paio di secoli, Seicento e Settecento, e la loro cospicua collezione d’arte dalle origini alla dispersione alla fine del XVIII secolo. Una raccolta che nel 1638, alla morte del marchese Vincenzo, contava già circa 600 dipinti di artisti europei del Cinquecento e Seicento, e duemila sculture antiche. Opere di grande prestigio, fra cui Caravaggio e Michelangelo.
Quello che incuriosisce, oltre all’interesse obiettivo di vedere elencate decine di opere, sono proprio i collezionisti, con i loro gusti e i loro fatti di vita. Scrive ad esempio Benedetto Giustiniani in una sua essenziale ma rivelatrice autobiografia: «Etatis 23. Nell’anno 1577 di maggio un poco di malatia melanconica et quasi disperato et resiluto di lasciar le lettere e farsi Cavaglier di Malta; et inimicitia et risse». E ancora, poco dopo: «Etatis 28. Nell’anno 1582 di genaro malatia con grandissima inapetentia, doglia di stomaco et melanconia». Tipo melanconico, spesso malato e col sangue al naso, ma raffinato intenditore d’arte, Benedetto, diventato poi cardinale.
Affiorano tutti i membri di questa spregiudicata e ricchissima famiglia di banchieri-letterati e cardinali, saliti ai più alti onori della cronaca romana.

Fuggiti nel 1566, in seguito all’invasione turca, dall’isola di Scio con il padre Giuseppe, i due ragazzi Benedetto e Vincenzo, di nobile famiglia genovese, raggiungono Roma. Dopo alterne vicende ricostruiscono la perduta fortuna, si impongono tra le maggiori famiglie del tempo e formano la più grande collezione d’arte del secolo.

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