
La domanda che rimbomba nella testa di Luther Amos Dunphy, e anche nella nostra, mentre leggiamo Un libro di martiri americani di Joyce Carol Oates (La nave di Teseo, pagg. 806, euro 30) è: "Qual è la tua coscienza? Cosa ti sta dicendo Dio? Come si fa a sapere se si è stati scelti da Dio per assumere una condotta che trasgredisce le leggi dello stato?". E ancora di più: "Come si fa a sapere se uccidere un'altra persona con le tue stesse mani è volontà del Signore?". Chi decide se un martire è un vero martire?
Luther Dunphy uccide Augustus Voorhees, detto "Gus", il 2 novembre 1999 a Muskagee Falls, Ohio. Succede davanti al consultorio di Broome County, al mattino presto, prima che le guardie di sicurezza siano arrivate. Luther Dunphy è un soldato di Dio e il credo dell'Army of God è che gli assassini di bambini, come il dottor Voorhees, debbano essere fermati a qualsiasi costo. Perciò Luther Dunphy, "il prescelto", spara in faccia a Gus Voorhees. L'antiabortista Dunphy ammazza anche Timothy Barron, un volontario, ex veterano del Vietnam, uno che non c'entra nulla. Un "danno collaterale". Gli agenti trovano Dunphy in preghiera, il fucile abbandonato, l'animo sereno di avere realizzato la sua missione. Nessun pentimento. "L'Army of God crede che l'uccisione di ogni assassino abortista intende salvare le vite dei bambini".
Difendere gli indifesi ha un prezzo, a volte insostenibile. Joyce Carol Oates prova a comprendere quale sia questo prezzo, e chi sia a pagarlo, con un romanzo basato sulla realtà della battaglia fra abortisti e antiabortisti negli Usa, che conta molti medici uccisi. La risposta non è semplice e nemmeno gradevole. La scrittrice ha dichiarato che questo è un romanzo "pro choice"; la violenza di chi si dichiara "pro life" ma al costo della vita altrui è sconvolgente, oltre che paradossale, e le argomentazioni di chi si ritiene investito dal Padreterno del diritto di ammazzare il prossimo sono insopportabili come quelle di tutti i fanatici. Però è anche difficile rimanere impassibili di fronte alle descrizioni dei feti abortiti, degli uteri insanguinati, dei neonati smembrati. Joyce Carol Oates non ci risparmia nulla. Ma il punto è: perché questo fanatismo è così fastidioso, perché tocca così profondamente il nostro senso di giustizia e di ingiustizia? Perché una lista come "Ricercati: gli infanticidi in mezzo a noi" (in cui Voorhees figurava al terzo posto) deve essere smantellata, mentre per chi l'ha stilata non si tratta che una espressione della libertà di parola, un diritto garantito dalla Costituzione? Esistono omicidi che non siano crimini, come in guerra (e perché in guerra non è omicidio)? Se vedessimo un bambino che sta per essere ammazzato e intervenissimo, uccidendo l'assassino, saremmo così diversi da Luther Dunphy?
Queste sono alcune delle domande scomodissime (ancora di più perché il tono è quello della cronaca, e non del giudizio moralista) che ci pone Joyce Carol Oates.
Per farlo passa attraverso le storie di Dunphy, di Voorhees e delle loro famiglie, madri, padri, mogli, figli e figlie, assumendo i punti di vista delle persone coinvolte, molto più numerose di quanto si immagini (boia compreso): come se la tragedia risuonasse su tutte le loro esistenze, all'infinito, continuando a tormentare le coscienze.