Adesso è arrivato anche il responso dei Ris dei carabinieri di Parma per dire quello che l11 marzo era apparso subito chiaro: i razzi sparati dagli «antifascisti» potevano uccidere. Nella loro relazione cè una dotta disquisizione sulle tracce di materiale trovato: antimonio, potassio e via di seguito. Ma anche allultimo «celerino» era bastata unocchiata allo scudo di plexiglass di un carabiniere centrato dal razzo e andato in frantumi come fosse di vetro, per capire che senza quella protezione il militare sarebbe morto.
Dunque ricapitoliamo, 11 marzo, mezzogiorno o giù di lì. Mancano quattro ore al raduno di Forza nuova, e da piazzale Loreto arrivano i «resistenti». Giusto per farsi la bocca attaccano una macchina dei carabinieri. I militari non centrano nulla con il servizio dordine ma la loro macchina viene circondata e ammaccata come un vecchio barattolo. Vengono salvati dallarrivo dei rinforzi.
Poi la fiumana scende Buenos Aires e si scontra con il cordone di forze dellordine. Vola di tutto: sassi, molotov e, soprattutto, i razzi da segnalazione marina. Sono cilindretti metallici che arrivano fino a 200 metri di altezza dove esplodono con un bagliore rossastro e scendono poi dolcemente appesi a un mini-paracadute. Leffetto, se sparato ad altezza duomo e a distanza di poche decine di metri, è devastante.
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