Quel partito trasversale che sogna d’imporre più tasse

Da Bersani a Casini, da Amato a Fini nella fazione che chiede inasprimenti fiscali c’è di tutto. Ad accomunarli solo l’avversione per il premier. C'è chi punta alla patrimoniale e chi vuole penalizzare azionisti e risparmiatori

Quel partito trasversale che sogna d’imporre più tasse

È nato il Pdt, il Partito delle tasse. Trasversale, trasversalissimo, mette d’accordo Bersani, Amato, Fini e Casini (cioè ex Pci, ex Psi, ex Dc ed ex Msi), raggruppa settori di Confindustria e fette di sindacato, raccoglie intellettuali e banchieri. Tutti personaggi già accomunati da un denominatore comune: chi più chi meno, sono antiberlusconiani. Così i punti programmatici del novello Pdt sono già due. Il dubbio è se colpire con la mannaia di una patrimoniale o raddoppiando le aliquote sulle rendite finanziarie.
Gli argomenti a sostegno sono svariati: ridurre il debito, allinearsi con l’Europa, fornire uno choc all’economia, equiparare ricchi e poveri. Il premio alla tesi più brillante va all’economista Francesco Giavazzi, bocconiano liberista nonché editorialista del Corriere della Sera e favorevole a taglieggiare i possessori di Buoni del Tesoro: è vero, i risparmiatori potrebbero fuggire, ma - ha detto quest’estate al Foglio - «visto che i Bot adesso non rendono praticamente nulla, tassando il niente non si colpisce niente». E si guadagna altrettanto, cioè niente: intanto le aliquote sono ritoccate a futura memoria.
Prima di Natale ne ha autorevolmente discettato Giuliano Amato, che di prelievi straordinari se ne intende avendo assottigliato nottetempo il conto in banca degli italiani. L’ex braccio destro di Bettino Craxi propone di far pagare 30mila euro in due anni a un terzo degli italiani, i più ricchi. Gli ha fatto eco il professor Pellegrino Capaldo, ex presidente della Banca di Roma ora docente di economia aziendale alla Sapienza: il suo intento è «privatizzare» il debito pubblico ripartendolo fra i proprietari di immobili. Non è la patrimoniale classica, «giusta ed efficace», sognata dalla Cgil, ma poco ci manca.
Quel nome, però, fa paura. Ed ecco che il grosso del Pdt ripiega sulle rendite finanziarie. Redditi di capitale come i dividendi azionari e altri proventi come i «capital gain» o gli interessi sui titoli del debito pubblico. Romano Prodi vi costruì sopra la campagna elettorale del 2006, mangiandosi quasi tutto il vantaggio sul centrodestra. Aliquota europea al 20 per cento, invece che il 12,5 per cento attuale. Chi glielo spiega ai milioni di piccoli risparmiatori che arrotondano il salario o la pensione con gli interessi sui Bot?
La domanda si ripropone oggi. Per questo è partita una campagna tesa a diffondere l’idea che tutto sommato una ritoccatina alle tasse in questo frangente della crisi è un sacrificio che profuma di rose. Il fuoco è concentrico, lo schieramento politico anti-Cav compatto. Il Pd, all’assemblea nazionale di Varese lo scorso ottobre, ne ha fatto una «road map»: sulle rendite finanziarie tassa del 20 per cento e rimodulazione delle aliquote Irpef con «la revisione degli scaglioni a vantaggio dei redditi bassi e medi» e aumento per i redditi alti. Il segretario Bersani ha trasformato quel progetto in una mozione bipartisan, votata in dicembre alla Camera, che impegna il governo a una politica di riforma fiscale auspicando di innalzare la famigerata aliquota al 20 per cento prodiano. Non manca la tessera numero 1 del Pd, Carlo De Benedetti, il quale con un articolo sul Foglio è ritornato sulla proposta da lui formulata un anno fa: un’«imposta patrimoniale nell’ambito di una riforma fiscale che prevedesse l’abbattimento delle tasse sul lavoro e le imprese». Le proposte di Amato e Capaldo sono giudicate «né prioritarie né praticabili», ma l’editore di Repubblica sollecita «una scossa fiscale con una draconiana riduzione delle imposte sulla produzione, spostando il prelievo sulle cose, sui beni, sui patrimoni». Si batte sempre lì.
All’assemblea del Terzo polo a Todi, Pier Ferdinando Casini ha sottolineato la necessità di «scelte impopolari» come l’aumento delle tasse sulle rendite finanziarie. In un dibattito con D’Alema lo scorso ottobre, Gianfranco Fini ha proposto addirittura il raddoppio dell’aliquota: 25 per cento. La scorsa settimana anche Anna Maria Artoni, presidente di Confindustria Emilia Romagna, si è detta favorevole alla nuova aliquota in diretta tv a Ballarò.

Concordano economisti come Tito Boeri e perfino un banchiere come Corrado Passera: «Personalmente sono favorevole anche ad aumentare la tassazione su talune rendite finanziarie», ha detto in estate l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo al Corriere della Sera.

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