«Quel ragazzino? Era timido ma iracondo»

Un testimone: «Prima gli spari, poi la fuga sui tetti. Pensavo a un ladruncolo, invece quel 15enne aveva ucciso i genitori»

«Urlava, si muoveva a scatti, quando ho visto quella figura arrampicarsi lungo il cornicione fino alla terrazza del sesto e ultimo piano, ho temuto davvero il peggio. Prima gli spari, poi quel ragazzino che fuggiva. Pensavo a un ladruncolo, chi l’avrebbe mai detto: un adolescente che aveva appena commesso l’assassinio più atroce, uccidere i propri genitori». A parlare è uno dei tanti testimoni che ieri pomeriggio hanno assistito all’epilogo del dramma appena consumato al civico 155 di via Turati, nel cuore dell’Esquilino.
F. Gavuzzo, 15 anni, da tempo in cura presso il Cim, Centro d’igiene mentale, di via dei Sabelli, impugna una delle quattro pistole che il padre, ricercatore di cristallografia al Cnr, custodisce in casa, una calibro 22 e apre il fuoco. Prima contro la mamma, Sybille Nerger, 46 anni, in cucina, poi contro il papà, Enrico Gavuzzo, 62 anni, nell’ingresso. Un raptus sanguinario che rompe il tran tran quotidiano della Chinatown capitolina. «Più di un anno fa - raccontano alcuni ragazzi cinesi in un negozio d’abbigliamento sulla strada - era rimasto vittima di un brutto incidente in montagna. Si era fatto davvero male. Si era rotto le gambe e aveva avuto diversi problemi. Da allora è cambiato, si è chiuso sempre più in se stesso».
Timido e introverso, ma anche iroso. Così descrivono conoscenti e vicini il quindicenne. «Quel ragazzino era quasi sempre normale, tranquillo. Ma a volte aveva degli scatti - dice un bengalese di 45 anni, inquilino del piano di sotto -. Gridava, sembrava maleducato. Qualche giorno fa mia moglie ha sentito dall’appartamento le urla dei due genitori che invocavano “aiuto aiuto”, poi quando è salita su per dare una mano le hanno detto che non ce n’era più bisogno. Che era tutto a posto». Lo straniero aggiunge: «I genitori, poveretti, erano una coppia tranquilla, brava gente. Anche benestante. Se non sbaglio in questo palazzo erano proprietari di almeno altri tre o quattro immobili. Spesso aiutavano anche me e la mia famiglia, regalandoci per i nostri bambini i vestiti che ormai non andavano più ai loro». L’omicida ha due fratellini, uno di 11 e l’altro di 6 anni. Al momento della tragedia erano ancora a scuola. Una zia ha pregato i poliziotti di andarli a prendere, di fare qualcosa anche per loro. Per i piccoli orfani si stanno attivando i servizi sociali del Comune. Lo stesso quindicenne, alla fine, è stato convinto dagli agenti a scendere giù dalla terrazza solo dopo avere sentito che non aveva ammazzato ma solo ferito il padre e la madre.
«Vedevo uscire i tre fratelli la mattina alle 8. Lui è magro, di altezza media, molto gentile, e un po’ introverso - spiega un’altra condomina -. Qualche mese fa ho avuto la sensazione di avere sentito una discussione, ma non so di che cosa parlassero». Della signora Sybille, tutti hanno un buon ricordo: «Era tedesca ma per amore del marito e della famiglia si era trasferita qui da molti anni racconta la signora Rita -. Era una persona molto distinta, dolce e gentile. Ci vedevamo spesso quando accompagnavamo i bambini a scuola. Il più piccolo ha 6 anni. Del più grande la signora, invece, non parlava mai. Non sapevo poi che avesse dei problemi. L’ultima volta che l’ho vista è stata lunedì sera alle 18 in via dello Statuto. È stata cordiale come sempre. In tutte le famiglie ci sono discussioni e battibecchi, soprattutto tra genitori e figli in età adolescenziale, ma davvero non c’era nulla che potesse fare presagire una simile sciagura».
Un tipo sempre indaffarato, papà Enrico. «Il figlio - racconta il dirimpettaio, un libero professionista - era schivo e introverso. Da tempo non lo vedevo più neppure affacciarsi alla finestra. Un nucleo familiare piuttosto riservato.

In tanti anni non li ho quasi mai visti invitare amici o organizzare feste per i bambini. Il padre non riusciva a stare con le mani in mano. Era un appassionato di bricolage. Ma all’apparenza, era davvero una famiglia come tante».

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